"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

mercoledì 19 dicembre 2018

Prigionieri del paradiso di Arto Paasilinna

Ci  siamo incontrati
Mercoledì 19 dicembre alle ore 20.30
 nella sede della biblioteca
  e confrontati sulla lettura dei libro
Prigionieri del paradiso di Arto Paasilinna 
ed. Iperborea

 
Un aereo su cui viaggia una missione dell’ONU è costretto a un ammaraggio di fortuna in un angolo sperduto dell’arcipelago indonesiano. I superstiti – una colorita combriccola di infermiere svedesi, taglialegna e ostetriche finlandesi, medici norvegesi, piloti e hostess inglesi – riescono per miracolo a raggiungere una spiaggia circondata da una giungla impenetrabile. Superato lo sconforto iniziale e pur senza perdere la speranza di un ritorno a casa, la comunità di naufraghi si dedica con crescente allegria all’organizzazione della sopravvivenza sull’isola tropicale: anche se il soggiorno sarà provvisorio, perché non allietarlo con quell’indispensabile superfluo che dà sapore alla vita? Per esempio un frigorifero ricavato dai giubbotti salvagente, un’irrinunciabile sauna, un consultorio per la diffusione dei metodi contraccettivi o, perché no, una distilleria clandestina. E se proprio alla fine bisogna salvarsi, perché non farlo lanciando un grandioso S.O.S. allo spazio? Grazie al suo humour irriverente e ai suoi personaggi anarchici, folli e ribelli, Paasilinna rivolta come un calzino il topos letterario dell’isola deserta e inventa un’esilarante avventura utopica dove si scopre che con un’equa distribuzione delle ricchezze, una maggiore giustizia e una liberazione da ogni sovrastruttura “civile” si può anche raggiungere la felicità. Forse.

mercoledì 21 novembre 2018

La stanza di sopra di Rosella Pastorino


Una città di provincia, una casa in cima a una scalinata, una stanza al piano di sopra, dove c'è un uomo, immobilizzato in un letto. Ester studia poco, passa il tempo a fumare con gli amici nel baretto sulla spiaggia o a bere nelle cantine delle case popolari. Sembra libera e indipendente, bacia e sa farsi sfiorare, si concede e si ritrae, sa scatenare il desiderio di un uomo più grande. Ma è smarrita nel silenzio di casa sua, nell'impossibilità di comunicare con la madre se non con frasi brevi e sprezzanti, nell'incapacità di nutrirsi, nello sgomento di quella stanza di cui non si può parlare: lì dove c'è il padre, da dieci anni muto, congelato tra la vita e la morte. «La stanza di sopra» è il primo romanzo di Rosella Postorino: anatomia emotiva del distacco doloroso e incolmabile che separa l'infanzia dalla maturità.

Il confronto
 
M.T. : la protagonista Ester pur nella sua giovane età non è poi così debole. Fa un sacco di errori ma caratterialmente è forte. Si sente abbandonata dalla madre e ne parla in modo molto duro, è di una cattiveria incredibile.

MR. F.: in Ester prevale il bisogno di ribellione tipico degli adolescenti. La mamma è più vittima di lei. Questo romanzo rappresenta la sofferenza in modo sublime.

R.R. : la madre sta morendo a poco a poco con il padre. Ester non ha né madre né padre.

L.F.: Ester è forte di carattere, anche troppo. Incolpa la madre di essere debole. Alla ragazza manca la figura paterna anche come contatto fisico. Si evince dal confronto con la sua amica che ha un padre tiranno e fascista, ma Ester lo ammira. Lo adora perchè ne sente la presenza. I suoi amici sono disturbati quanto lei. Ester cerca il male nelle persone.

P.B. : In questi pochi personaggi (madre, padre, figlia, amica, uomo della festa) traspare una profonda solitudine. Nessuno ha un nome proprio tranne Ester, il cui comportamento è al limite dell'autodistruzione.

M. F. : C'è una nota positiva alla fine del romanzo, nella quale si intravede un po' di speranza. Mi è piaciuta moltissimo la prima pagina poiché è l'unico momento dove c'è un po' di luce nella casa e anche l'anima di Ester ne è illuminata. La casa per il resto è il regno dell'oscurità, della polvere. L'assenza di comunicazione è in tutti i rapporti, anche con gli amici che frequenta. La compagnia di ragazzi con cui si vede è basata sullo stordimento, non ci sono nomi, non ci sono volti, vivono nascosti dal mondo. L'unico contatto è la compagna di classe che l'aiuta nei compiti. L'amica ha un padre dispotico, una figura negativa, ma pur sempre un padre. Tuttavia non c'è amore nella famiglia di questa amica dove la convivenza è basata sulla paura: la moglie e la figlia sono perfette nel loro comportamento ma soggiogate dal marito/padre padrone. L'esperienza con il signore della festa è molto triste. Lui si rivela un miserabile. Purtroppo ci sono molte adolescenti che si buttano via con uomini più grandi di loro, ma senza scrupoli. Nella scena finale, dopo l'esperienza negativa e squallida con l'uomo della festa, Ester si sdraia sul padre infermo cercando conforto.

M. R.: L'unica parte che non mi è piaciuta è quando vede la mamma in cucina che piange, le si avvicina, vorrebbe confortarla ma il suo carattere da ragazzina arrabbiata non glielo permette. Come persona sapeva di poco.

C.D. : L'amica aiuta Ester perchè animata da uno spirito da crocerossina, che la fa sentire bene e che rafforza la sua immagine di perfezione alla quale tende, anche su condizionamento paterno. La mamma di Ester, nell'episodio in cui comunica alla figlia la malattia del padre è stata eccessiva, dando sfogo al dramma e alla propria disperazione senza tener conto di aver di fronte una bambina di soli 5 anni. Ester è una ragazza confusa nei sentimenti e nelle emozioni, che si è trovata ad affrontare un carico di sofferenza più grande di lei e si è sentita sola. La scena finale di Ester sdraita sul padre malato è straziante e commovente.

O.G. : La condizione umana del marito/padre è la grande sofferenza. Se fosse morto si sarebbero risolte le cose in modo più naturale e sereno per tutti.

C. B. : E' un romanzo angosciante.

E.S. : Però è scritto molto bene.




venerdì 2 novembre 2018

Partecipazione al Raduno dei Gruppi di lettura

Qual è lo scopo di un Gruppo di Lettura? Quali tipi di gruppi esistono e come funzionano? Sono tutti legati a una Biblioteca? La Rassegna della Microeditoria che tutti gli anni attira migliaia di lettori esigenti, curiosi e senza dubbio fuori dagli schemi del mercato mainstream è il luogo ideale per cercare insieme le risposte con un Raduno GdL @Microeditoria 2018. L’incontro durerà circa due ore. Nella prima parte alcuni selezionati referenti di GdL presenteranno i propri gruppi, la loro composizione, i criteri di scelta dei libri e gli elementi di originalità di ognuno. Nella seconda parte, il raduno diventerà attivo: i presenti saranno suddivisi in gruppi casuali e si vedranno assegnato un racconto breve da leggere e discutere sul momento, per provare l’esperienza della lettura condivisa e commentata. L’evento infatti non è solo rivolto a chi già partecipa a un GdL, bensì è aperto a tutte e tutti visitatori della Rassegna



IL GRUPPO DI LETTURA DI CASTEL MELLA PARTECIPERA'!.
 

venerdì 19 ottobre 2018

Parla, mia paura di Simona Vinci

Ci  siamo incontrati

Mercoledì 24 ottobre alle ore 20.30
 nella sede della biblioteca


  e confrontati sulla lettura dei libro


Parla mia paura di Simona Vinci

  edizioni Einaudi 

Poche volte come in questo libro il dolore diventa carne viva e incandescente, racconto sincero di un'esperienza che nasce autobiografica e si fa subito universale.

Da IBS: Simona Vinci si immerge nella propria paura e cerca un linguaggio per confessarla. L'ansia, il panico, la depressione spesso restano muti: chi li vive si sente separato dagli altri e incapace di chiedere aiuto. Ma è solo accettando di «rifugiarsi nel mondo» e di condividere la propria esperienza che si sopravvive. La stanza protetta dell'analista e quella del chirurgo estetico, che restituisce dignità a un corpo di cui si ha vergogna, l'inquietudine della maternità, la rabbia della giovinezza, fino allo strappo iniziale da cui forse tutto ha avuto origine. Scavando dentro sé stessa, Simona Vinci ci dona uno specchio in cui rifletterci. Si affida alle parole perché «le parole non mi hanno mai tradita». Perché nella letteratura, quando la letteratura ha una voce cosí nitida e intensa, tutti noi possiamo trovare salvezza. Simona Vinci ha vinto il Premio Campiello 2016 con La prima verità. È cominciata con la paura. Paura delle automobili. Paura dei treni. Paura delle luci troppo forti. Dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi e di quelli troppo aperti. Paura dei cinema, dei supermercati, delle poste, delle banche. Paura degli sconosciuti, paura dello sguardo degli altri, di ogni altro, paura del contatto fisico, delle telefonate. Paura di corde, lacci, cinture, scale, pozzi, coltelli. Paura di stare con gli altri e paura di restare da sola. Nel posto in cui vivevo allora arrivava il richiamo lacerante dei piccoli rapaci notturni nascosti tra i rami degli alberi. Di notte, l'inferno indossava la maschera peggiore. Di notte, quando nelle case intorno si spegnevano tutte le luci, tutte le voci, quando sulla strada il fruscio delle automobili e dei camion si assottigliava.

martedì 16 ottobre 2018

Incontro con Simona Vinci


UN LIBRO, PER PIACERE!
XV edizione
dal 18 luglio al 26 ottobre 2018

Martedì 16 ottobre, ore 21.00
CASTEL MELLA

Auditorium "G.Gaber"

Via Onzato 54

Trasformare la paura: incontro con Simona Vinci

Dialoga con Paolo Festa

La rassegna Un libro, per piacere!, promossa dal Sistema Bibliotecario Sud Ovest Bresciano, che ogni anno permette al pubblico di incontrare libri ed autori di grande levatura, propone per martedì 16 un incontro con la scrittrice Simona Vinci.

Autrice che riscuote da anni un grande successo di pubblico e critica, ha esordito con Dei bambini non si sa niente nel 1997, tradotto in numerose lingue. Scrittrice di particolare forza emotiva, ha vinto il Premio Campiello con La prima verità (Einaudi, 2016) romanzo che affronta il tema della follia e della reclusione partendo da vicende tragicamente reali.

Nel 2017 ha pubblicato Parla, mia paura: poche volte come in questo libro il dolore diventa carne viva e incandescente, racconto sincero di un'esperienza che nasce autobiografica e si fa subito universale. Simona Vinci si immerge nella propria paura e cerca un linguaggio per confessarla. L'ansia, il panico, la depressione spesso restano muti: chi li vive si sente separato dagli altri e incapace di chiedere aiuto. Ma è solo accettando di «rifugiarsi nel mondo» e di condividere la propria esperienza che si sopravvive. La stanza protetta dell'analista e quella del chirurgo estetico, che restituisce dignità a un corpo di cui si ha vergogna, l'inquietudine della maternità, la rabbia della giovinezza, fino allo strappo iniziale da cui forse tutto ha avuto origine.

Simona Vinci dialogherà con Paolo Festa, presidente dell'associazione culturale L'Impronta.

L'appuntamento è per martedì 16 alle ore 21.00 a Castel Mella presso l'Auditorium "G.Gaber" di via Onzato 54


mercoledì 26 settembre 2018

La prima verità di Simona Vinci

Ci siamo incontrati


Mercoledì 26 settembre 2018
 alle ore 20.30



  nella sede della biblioteca

e confrontati sulla lettura del libro

La prima verità di Simona Vinci 
Einaudi edizioni




Trama (da IBS):  
Una giovane donna va alla ricerca del misterioso passato dei reclusi di un enorme lager in un'isola greca dove il regime dei colonnelli confinò insieme folli, poeti e oppositori politici.

E sprofonda, come il coniglio di Alice, seguendo tracce semicancellate archivi polverosi e segni magici, in una catena imprevista di orrori e segreti dove la pazzia sempre più si mostra come eterno segno dell'opposizione e della ribellione e il passato rivive in storie miracolose, in una festa del linguaggio e della parola. Nella seconda parte del romanzo la detection su follia, normalità e violenza della giovane donna si allarga al mondo contemporaneo e finisce col diventare inevitabile, sconvolgente autobiografia dell'autrice, dove il nodo del rapporto con la madre e la scoperta del fantasma della propria follia (e di quella materna) si aprono in immagini di rara forza. Unica salvezza è la parola poetica, la passione di dire e raccontare che unisce i mondi nel gesto individuale di chi ha il coraggio di cercare ancora "la prima verità"
.


La prima verità di Simona Vinci non è una di quelle letture che scivolano via senza la- sciare traccia.
Leggerlo è come entrare in un vortice di aria e lame: si esce con la pelle segnata da incisioni profonde. In questo romanzo la necessità di scrivere si tramuta in purissima invenzione letteraria. Ci troviamo infatti alle prese con una sorta di autobiografia mancata: l’autrice non ci racconta un dolore realmente vissuto, ma un dolore che avrebbe potuto vivere (…).

La prima verità si apre con la descrizione di una bambina nuda, legata al letto di un ospedale psichiatrico in cui si praticava l’elettrochoc a chiunque fosse considerato ineducabile, pericoloso per sé e per gli altri. E Simona Vinci annota: “Mi colpisce perché sono stata una bambina ineducabile. Sono stata una bambina pericolosa per sé e per gli altri. Mi è andata bene. Se fossi nata solo cinque anni prima del 1970, in un altro contesto sociale, avrei potuto essere io quella bambina nuda, legata con cinghie di contenzione a un lettino spinto contro i margini dell’abisso”. È a partire da questa consapevolezza, questa condivisione di un dolore mai provato, che Simona Vinci costruisce una storia potente, che ha il suo centro nella greca Leros, l’isola-manicomio che ospitava in condizioni disumane malati psichiatrici e che fu utilizzata come luogo di confino per detenuti politici durante la dittatura dei colonnelli.


In quell’isola veniamo catapultati anche noi, grazie a una scrittura che, come il sole estivo sulla terra brulla, più che splendere brucia (“la scrittura” si legge nel libro “andrebbe trattata come un corpo delicatissimo, il corpo di un bambino, fragile, quasi trasparente. Noi siamo il chirurgo che deve incidere la sua carne e suturarla, noi siamo quelli che devono tenerle in vita, le parole. E il falso le ammazza.
Tu vorresti essere una che ammazza i bambini?”). Una scrittura in cui tutto, persino il più invisibile moto interiore, diventa immagine: “Maria finisce di preparare la cena e la sua schiena voltata e la nuca umida di sudore sono un rimprovero alle giornate troppo pigre delle figlie”.

Simona Vinci mostra la follia che si annida in ogni vita, e la vitalità – repressa, punita, inascoltata o incapace di parlare – che c’è in ogni follia. La sua penna si misura con il potere, l’eros, la morte, la poesia, e dà voce a decine di uomini e donne abbandonati, che cercano o non cercano di contrastare quella condanna, uomini e donne alla prese con il tentativo di tenerla fuori dalla propria porta di casa. Un tentativo che ci riguarda tutti. La prima verità è lì a ricordarcelo, con la ferocia e la grazia che hanno solo i grandi libri.

Recensione di Simone Giorgi















giovedì 26 aprile 2018

Gli invisibili di Nanni Balestrini

Ci siamo incontrati


Mercoledì 16 maggio 2018
 alle ore 20.30



  nella sede della biblioteca

e confrontati sulla lettura del libro

Gli invisibili di Nanni Balestrini 

Trama: "Gli invisibili", una delle opere più note di Nanni Balestrini, ripercorre l'insurrezione del 1977, una rivoluzione della vita quotidiana, con il rifiuto del lavoro, l'occupazione delle case, lo sciopero selvaggio. Lo fa attraverso la voce di Sergio, che vediamo correre per le strade davanti ai celerini schierati, tirare qualche molotov, partecipare alle assemblee. E poi incarcerato, testimone della feroce vita nelle galere, della clamorosa rivolta di Trani. Sergio è il "movimento", quello più spontaneo e istintivo che, dieci anni dopo i fatti (il romanzo è stato pubblicato nel 1987), Balestrini racconta con la sua prosa scandita nella quale ricerca stilistica e sperimentazione letteraria raggiungono la piena maturità. Sergio, soprattutto, è uno dei tanti "invisibili" cui l'autore offre la sua scrittura, per raccontare, come scrive Rossana Rossanda, la "crudele educazione sentimentale di un ragazzo degli anni Settanta" e insieme una pagina cancellata della nostra storia.

mercoledì 4 aprile 2018

'14 di Jean Echenoz - Rifiuti di trincea di Mauro Pennacchio

Cisiamo incontrati
Mercoledì 18 aprile alle ore 20.30
 nella sede della biblioteca
e confrontati sulla lettura dei libri
Rifiuti di trincea di Mauro Pennacchio
 edizioni La Quadra 
  '14 di Jean Echenoz 
Edizioni Adelphi

venerdì 16 marzo 2018

Rifiuti di trincea di Mauro Pennacchio

“Rifiuti di trincea” (la trappola infame degli “scemi di guerra”)   di Mauro Pennacchio Edizioni La Quadra

La follia e la guerra, meglio: la follia della guerra.  Il protagonista compie un viaggio che lo porta sul fronte del Carso, laddove incontra l’insensatezza della guerra che lo ingoia. Diventa uno “scemo di guerra”. Dentro di sé cova immagini che lo devastano. Come altre migliaia di soldati durante il primo conflitto mondiale percorre le vie predisposte per le vittime di turbe mentali e approda ad un manicomio. Accanto al racconto delle vicende del protagonista si trova un coro di narranti. Dieci testimonianze tratte dalle cartelle cliniche, di altrettanti scemi di guerra a costruire un racconto corale e dolente. Nell’anniversario di quella immane tragedia collettiva che fu la prima guerra mondiale, questo testo rappresenta una straordinaria testimonianza di memoria degli “ultimi” dei “vinti” prima ancora di perdere la guerra.

Mauro Pennacchio: È stato docente di Storia e Filosofia nei Licei. Si interessa di storia sociale e religiosa, le sue ricerche sono state oggetto di varie pubblicazioni. Con LA QUADRA ha altresì  pubblicato “Sono nata il 1° maggio”.
Brani tratti dal suo libro “Rifiuti di  trincea” sono stati letti nell’estate del 2017 da Vittorio Sgarbi a Pontedilegno, non lontano dalle trincee dell’Adamello dove nella Prima guerra mondiale si è combattè.

Valentina  Soster  attrice e cantautrice bresciana. Ha esordito in campo musicale con l’album «A un giorno qualunque», del 2008, cui nel 2013 ha fatto seguito «Resistenti Incanti», realizzato in collaborazione con l’Anpi di Brescia. E’ del 2015 «Sarebbe meglio andarsene in tempo», che la porta in finale al Premio Tenco.  Nel  2016 ha pubblicato l’Album: «Forse siamo in tempo per essere felici».

Cati  Cristini e Antonio Burlotti  sono esperti  lettori, molto noti  prevalentemente  nell’area del  Sebino  e della Valle Camonica  per le loro  numerose performance e per il loro impegno nella promozione culturale.

Luigi Di Paolo docente, castelmellese conosciuto in paese per i suoi contributi in ambito educativo e culturale (Associazione Mondo bambino e Consulta Cultura).



mercoledì 28 febbraio 2018

Saggio sulla lucidità di José Saramago


Trama: Nella capitale di un paese non meglio identificato tutta la popolazione vota scheda bianca alle elezioni. Al secondo tentativo le schede bianche aumentano. Il governo sospetta una cospirazione e mette sotto assedio la città, tutti gli organismi istituzionali vengono trasferiti, la città viene abbandonata a se stessa. In questa situazione, la gente sviluppa una solidarietà spontanea e reinventa una nuova gestione delle cosa pubblica. Si cercano i capi della cospirazione, viene individuata una donna, la stessa protagonista di Cecità, sulle cui tracce viene inviato un agente segreto. L'uomo si rende conto che la donna non ha alcuna colpa e che serve solo da capro espiatorio, mentre tra loro si stabilisce un forte legame. Il loro destino però è già segnato. 

È regola invariabile del potere che, le teste, è sempre meglio tagliarle prima che comincino a pensare, dopo può essere troppo tardi.

Il confronto: 
L. : la scelta si confà a questo periodo pre-elettorale. Saramago ha un modo di scrivere particolare e si fa un po' fatica a seguire i dialoghi. Non attribuisce i nomi alle persone ma li definisce con le cariche occupate. Alcuni personaggi sono tratti dal suo romanzo Cecità. Il colore che caratterizza entrambi romanzi è il bianco. I ciechi vedevano tutto bianco, le schede in questa storia sono bianche e gli elettori vengono chiamati i biancosi. Nella capitale di un fantomatico stato l'85% della popolazione vota scheda bianca, che significa: esercito il mio diritto al voto ma non scelgo. Tale scelta provoca preoccupazione all’interno dei poteri costituiti, che la ritengono frutto di un complotto con una precisa regia. Saramago descrive le lotte interne del potere, il quale, per poter sopravvivere, esige che le gerarchie vengano rispettate. I governanti in disaccordo tra loro fanno fatica a prendere decisioni repentine: ci sono voluti 4 giorni per decidere di inviare i volantini dal cielo,  e nell'attesa il tempo cambia e incomincia a piovere. Saramago servendosi di questi episodi sbeffeggia il potere costituito. I ministri dello sport e della cultura, guarda caso quelli che solitamente sono quelli meno considerati, avevano le idee più chiare di tutti. L'elettorato dei “non biancosi” dopo l'attentato nella metropolitana decide di partire e uscire dalla capitale. Inizialmente i ministri sono contenti di questa scelta. Ma quando il primo ministro ipotizza che fra questi ci potrebbero essere anche dei biancosi capaci di inquinare con le loro idee le altre città, convincono i fuggitivi, facendo leva sulla paura, a rientrare nelle loro case per evitare saccheggiamenti. In realtà nessuna devastazione stava accadendo e i biancosi stessi in tutta tranquillità li aiutano a risistemare le loro cose. Il potere deve trovare un capro espiatorio e non si mette mai in discussione.

F. : mi è piaciuto molto. Meno lo stile della scrittura, anche per il fatto che le persone non abbiano un nome proprio e perché si può pensare che tutto quanto narrato sia accaduto ovunque. Non mi aspettavo che il governo abbandonasse la capitale. Pensavo che i cittadini si sarebbero organizzati da soli. Mi ha molto colpito l'arroganza e la caparbietà del governo per il quale la colpa è dei cittadini.

O. : il governo è cattivo, non riconosce mai le proprie colpe, e le scarica sul popolo che accetta tutto passivamente.

L. F.: per mantenere una coerenza alla storia è giusto così. Avrei evitato di metterci l'attentato in metropolitana. Molte stragi sono state create a tavolino.

M.T.: La prima parte è molto pesante: le modalità della scrittura richiamano lo stile proprio della burocrazia. A differenza di quanto il titolo potrebbe indurre a pensare la storia racconta della mancanza di lucidità da parte dei politici, i quali parlano di democrazia ma in realtà prendono decisioni unilaterali e autoritarie. Chiudendo la città in un ghetto i politici pensavano sarebbe accaduto il caos ed il popolo, pentito, avrebbe chiesto il loro intervento. Invece la vita nella cittadina continuava a svolgersi in modo ordinato. Emblematiche le figure dei tre poliziotti che partono per una missione pensando che i loro capi abbiano delle idee mentre invece si accorgono di essere mandati allo sbaraglio., E’ interessante anche il fatto che i tre quarti dei giornalisti sono al seguito del potere.

C.: esiste una contrapposizione fra cecità e lucidità. In realtà la cecità riguarda non solo la perdita fisica della vista ma anche la cecità mentale. La cecità vera è quella del potere e la lucidità è quella del popolo. Il popolo nella scelta di votare scheda bianca, ma non solo, non è stato diretto da nessuno. Si è trattato di un comune sentire, che ha mosso tutti all’unisono, senza accordi e consultazioni reciproche. Questo comportamento deriva forse dalla consapevolezza dell'essere stati ciechi e di non aver dimenticato la drammatica esperienza vissuta, che il potere altresì cercava di cancellare. La memoria della tragedia ha consentito al popolo di avere delle prospettive comuni e delle regole che nascono spontaneamente e che vengono seguite per necessità e senza obblighi di sorta. E' bella la figura del sindaco, perchè è restato comunque vicino alla sua gente.

M. F. : da l'idea della sceneggiatura di un film.

P.: sembra che Saramago voglia farti diventare attivo, entrare nel gioco. Le figure femminili sono sempre belle in entrambe i romanzi.

C. : il modo di scrivere, con periodi molto lunghi senza punteggiatura o con punteggiatura messa in modo casuale, mi ha richiamato un’esperienza vissuta in ambito musicale con l’ascolto del il jazz . All’inizio facevo fatica poi a forza di ascoltarlo mi sono resa conto di cominciare a comprenderlo e ad apprezzarlo. Il libro è permeato comunque da una sottile ironia.

G.: non sono riuscita a leggere più di 70 pagine. Mi ha fatto pensare che la democrazia permette di comandare solo a chi deve comandare. Mi ha ricordato il “Grande Fratello” del romanzo di Orwell. I politici preparano i loro trabocchetti ma i cittadini non ci cascano perchè sono più evoluti.
  
M. R.: ricompare la donna, la moglie del medico, protagonista di Cecità: poiché era l'unica ad avere conservato la vista, conducendo alla salvezza un gruppo di sette persone, e avendo anche compiuto un omicidio, su di lei cadono i maggiori sospetti del complotto. Sottoposta alla macchina della verità, per dimostrare che il risultato non è attendibile, riesce a convincere il militare a sottoporsi anch'egli a tale test. Il primo ministro che ha preso su di se le funzioni di quasi tutti gli altri ministri introduce un regime totalitario.


M.: Egli deve trovare un colpevole qualsiasi esso sia. Per questo istituisce un pool di persone, tra cui appunto il commissario, per condurre indagini sui sopravvissuti alla cecità, i quali comprendo l'assenza di responsabilità di questi ultimi, diventano invece solidali con loro. Il commissario, la moglie del medico e anche il suo cane (il famoso cane delle lacrime) verranno tutti uccisi dall'uomo con la cravatta blu a pallini bianchi, emissario del potere.

G. : c'è una bella frase del commissario tratta da un libro di cui non ricordo il titolo: “nasciamo, e in quel momento è come se firmassimo un patto per tutta la vita, ma può arrivare il giorno in cui ci domandiamo Chi l'ha firmato per me, Veramente, sono belle parole, che fanno pensare”.

P. : ho trovato ostico il linguaggio utilizzato. L’ambientazione mi è parsa la scenografia di un teatro, scarna senza descrizioni, con una scrivania che poteva andar bene per diverse scene. Esiste continuamente una dicotomia fra il braccio e la mente. Ho colto lo scollamento fra la mente pensante e chi ha eseguito.

M. F.: il contrario di democrazia è autoritarismo. Accettare la situazione così passivamente non è confacente ad una cittadinanza sana.

L. : la retorica del potere descritta in questo libro è eccezionale.

C.: mi ha ricordato, pur con le dovute differenze, il libro di Calvino “La giornata di uno scrutatore”.