"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

martedì 20 dicembre 2011

La metà di niente di Catherine Dunne

martedì 20 dicembre, ore 20,30

La metà di niente
di Catherine Dunne
Guanda


Trama: Una mattina come tante nella cucina in disordine, nell'aria pungente di una Dublino ancora addormentata. Una mattina come altre quella in cui Ben decide di dire addio alla moglie Rose, ai suoi tre figli e a vent'anni di vita assieme. Rose non parla, non reagisce, non sa nemmeno cosa provare. Con questa scena si apre "La metà di niente", il felice romanzo d'esordio di Catherine Dunne, il diario lucido e drammatico di una donna che, di punto in bianco, si trova sola, senza soldi e con una famiglia da mantenere. Come in un album di fotografie, la nuova vita di Rose si alterna a flashback della vita passata, dei suoi sogni giovanili, delle sue illusioni romantiche sul matrimonio. Ma tra lacrime e disperazione, tra rabbia e sensi di colpa, Rose diventa forte.

Citazione: "Ogni giorno ha la sua pena, quanto basta per arrivare a sera"

G.F.: non è un grande romanzo, più che la metà di niente avrei detto il doppio di niente. Il genere non mi interessa.
M.: A me piace la qualità con cui struttura i romanzi. Si tratta del primo libro: poi la scrittura nei succeccivi diventa più matura ed articolata.
Il libro è stato citato da Veronica Lario, nella famosa lettera a Berlusconi, nella quale lei si è paragonata alla protagonista.
C.: Sì, ma nel suo caso alla pena del naufragio di un matrimonio, non si sono aggiunte le preoccupazioni economiche, per la sua sopravvivenza e per quella dei figli. Rose è stata chiamata a reagire subito.
G.: “L’amore o quasi “ è il seguito.
P.: Forse per la scrittrice il marito è l'antagonista del romanzo.
F. : Forse bisognerebbe sapere di più.
C.: Si prova piacere ad apprendere che al marito, a partire dalla relazione con l'amante, gli vanno tutte storte. Non è un gran persona. Neppure come padre.
G.: E' la visione di una donna combattiva che ha un tratto maschile molto forte. E' la storia di un cambiamento interiore che ho visto in moltissime donne. Donne che hanno fatto fatica e hanno trovato un sacco di risorse. Quello che cambia le persone è la capacità di scegliere. Nel matrimonio c’è stata accettazione e poca possibilità di scegliere. La scelta consapevole avviene quando più che la fine di una relazione vi è la fine di una condizione, di una sudditanza.
F.: Per il cambiamento ci deve essere un motivo scatenante. Non siamo facili ai cambiamenti.
G.: Nei momenti di crisi fai un salto in avanti.
C.: E' nel dolore che si cresce, ahimè.
E. : Ha toccato vari punti ma non è andata oltre. Ho preferito “ Se stasera siamo qui” mi ha dato la sensazione che le donne si conoscono poco. Le donne mi sembrano sempre non complete, scivolano sempre sulla strada dell’altra. Donne che non si conoscono, che si ritrovano sempre a chiedere a qualcuno dove sono. Forse dovremmo essere educate a conoscerci di più e a fare delle scelte per noi.
C.: Mi ha ricordato "Una donna spezzata" della Simone de Beauvoir. La lettura di quel libro mi aveva messo una grande angoscia, che qui non ho provato. Le protagoniste sono caratterialmente diverse. Rose sa riscattarsi dalla perdita del marito e non si lascia sopraffare dal dolore e dalla delusione, che pur c'è.
P.: Ricorda vagamente le scrittrici Sud-Americane: Isabel Allende per esempio. 

martedì 15 novembre 2011

Se stasera siamo qui di Catherine Dunne

Martedì 15 novembre 2011
alle ore 20,30
Se stasera siamo qui
di Catherine Dunne
edizioni Guanda

Trama: Una riunione tra quattro amiche del cuore per festeggiare la loro amicizia: un quarto di secolo di intimità condivise, tradimenti superati, differenze appianate. C'è Claire, con i suoi uomini sempre sbagliati; e la certezza che la vita non le darà mai l'unica cosa che ha sempre voluto. Nora, la casalinga perfetta, che ha tenuto nascosto un segreto alle amiche per più di venticinque anni. Maggie, che è sposata infelicemente con Ray da più tempo di quanto voglia ricordare. E poi Geòrgie, altezzosa e supponente, che ha fatto a modo suo più di quanto le sarebbe convenuto. Ma stasera la complessa trama di mariti, amanti e segreti che le ha tenute insieme sta per dipanarsi. E una delle quattro donne non ha intenzione di esserci. A questo punto, le cose non potranno più essere le stesse... (tratta da IBS)

Leggi la recensione di Wuz

Citazione: "Ho idea che questa sera verranno rivelati molti segreti. So che Maggie ha qualcosa per la testa e Georgie è stata particolarmente evasiva l’ultima volta che ci siamo viste tutte insieme. Quanto a Claire, con tutto il suo talento e la sua bellezza, a volte mi fa pena. Credo che sarebbe stata felice di diventare madre. Mi sbaglierò, ma ho il sospetto che sia per questo motivo che ha avuto tanti uomini." 

Il confronto

M.: Ho apprezzato il romanzo per l’intreccio. E’ stata capace di mescolare le storie. Non sono d’accordo sulle tesi di fondo, in quanto ho visto che quasi tutti questi uomini sono dei cialtroni.
A.: Secondo me, in questo romanzo, gli uomini non sono stati ritratti male. In fondo Georgie lascia tutto per un uomo. Paul, l’uomo di Claire, risulta non essere poi tanto male. Non ho visto questa distinzione di sessi. La scrittrice è bravissima a far recitare quattro protagoniste diverse:  probabilmente queste corrispondono a donne da lei realmente conosciute. Inoltre non mi sembrano infelici. La stessa Nora ha una vita adeguata a quel che lei è.
Mi domando se esiste veramente questo tipo di amicizia fra le donne, non riesco a concepire lo stesso tipo di rapporto fra gli uomini.
F. : Non c’era né molta felicità né molta amicizia. Non mi è sembrata vera amicizia quella che le legava poiché avrebbero dovuto confidarsi prima su ciò che le riguardave reciprocamente.
A.: Hanno avuto bisogno di un percorso per arrivare ad aprirsi.
M.: Gli uomini non sono più rigidi delle donne.
G.: Sono d’accordo con A. Gli uomini sono stereotipati, ma non sono bastardi.
Per quanto riguarda l’amicizia spesso si ha bisogno di relazioni simbiotiche e totalizzanti: in realtà non è necessario aprirsi totalmente.
R.: Ho apprezzato anch’io il modo di scrivere e mi ha ricordato la sceneggiatura di certi film contemporanei. Non trovo che gli uomini siano descritti in modo così negativo. Vedo in Georgie un comportamento molto maschile. Mi ha colpita Maggie per il suo atteggiamento positivo, creativo emblematica la sua frase: “la vita è una sfilza di casuali disastri e di occasionali felicità tenuti insieme, quando ti va bene, dal cemento dell’amicizia e dal collante della famiglia”.
Non mi è piaciuto il suo ruolo di gregaria di Georgie. Maggie ha subito le scelte del marito, un essere egoista, infantile, il peggio del peggio.
La voglia di Toscana di Georgie mi è sembrata un luogo comune, banale.
Il marito di Nora è una persona di tutto rispetto.
Confermo che può esistere un rapporto duraturo di amicizia fra donne, queste dinamiche fra donne esistono.
L.: Leggendolo mi sono chiesta a quale di queste donne si identifica la scrittrice?
G.: Dentro di me ritrovo una parte di Nora, in varie fasi della mia vita mi sono sentita un po’ Claire, un po’ Georgie, un po’ Maggie. Georgie è una tipologia di donna molto moderna che può anche spaventare, può essere l’amante ideale.
A.: Claire è poco credibile.
C.: Anche secondo me. Non credo che una donna bella e intelligente non abbia avuto altre occasioni d’amore e sia stata legata ad un solo uomo per tutta la vita.
G.: Claire è segnata dall’abbandono della madre, abbandono che subisce e attiva quando ha una storia, è inserita in questo destino.
M.S.: tutte queste donne che fanno e che vogliono fare sono più infelici rispetto alle altre che scelgono di fare le casalinghe. Nora per esempio è più serena e tranquilla, naturalmente questo dipende molto anche dal carattere.
Inoltre sia Georgie che Maggie ad un certo punto lasciano i figli.
Se ci sono personaggi negativi questi sono i genitori di Nora che tenevano la figlia sotto stretta sorveglianza a causa della sua maternità.
Nella sua tranquillità Nora non vedeva l’ora di far sapere alle sue amiche che anche lei aveva avuto un’esperienza non ordinaria.
E.: La storia di queste quattro amiche è stata intrecciata benissimo. L’ho letto tutto d’un fiato perché mi intrigava,  ma poi l’ho riletto per capire meglio la personalità di ognuna.
Questa amicizia è vera, ammesso che  fra donne possa esistere. Ho provato a ricondurla un po’ nella mia realtà: non sempre sei psicologicamente nel momento giusto di confidarti, ma poi lo fai. In noi c’è un po’ di tutte e quattro. In me ho visto di più Nora e Claire; Georgie mi è molto lontana. L’attaccamento di Maggie a Georgie, al marito, non l’ho trovato così strano e neanche così poco comprensibile: lei ha l’animo della crocerossina è sempre stata protettiva. Mi sono sembrate tutte coerenti con la loro vita.
Nora ha subito la durezza dei genitori ma ha trovato un marito che l’ha aiutata. Altro è stato il conflitto con Georgie che le ha rubato la scena fino all’ultimo e che probabilmente era gelosa del rapporto che aveva con le altre due (Nora non lo sa ancora ma le darà un grosso dispiacere). Georgie ha sempre trovato chi le ha parato il "sedere".
Non ho avvertito un abbandono dei figli ma una coerenza ai canoni anglosassoni secondo cui i figli ad una certa età devono andare per la loro strada.
C.: Mi è piaciuto tantissimo. Soprattutto il punto di vista di ognuna rispetto ai fatti. Non sono d’accordo con M. riguardo alla negatività degli uomini. Ci sono anche comportamenti femminili che sono negativi.
Fra i personaggi meno reali il marito di Nora che accetta in modo buonistico e senza troppo recriminare l’abbandono da parte di Nora della figlia.



martedì 11 ottobre 2011

Sharon e mia suocera di Suad Amiry

Martedì 11 ottobre 2011  alle ore 20.30
Sharon e mia suocera
di Suad Amiry
Feltrinelli edizioni

Trama: Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un "diario di guerra". Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, "spara" anche la madre del marito, una suocera proverbiale. In pagine scoppiettanti di humour e di lucidità politica e sentimentale, i colpi bassi di Sharon e del suo governo finiscono per fare tutt'uno con le idiosincrasie della suocera petulante, con la quale l'autrice si trova a trascorrere in un involontario tête à tête il tempo dell'assedio.
Approfontimenti sul sito dell'editore Feltrinelli

Citazione: "Forse un giorno riuscirò a perdonarvi di averci tenuti sotto coprifuoco per trentaquattro giorni consecutivi, ma non riuscirò mai a mandare giù che ci abbiate costretti a vivere con mia suocera per quelli che, allora, ci sono sembrati trentaquattro anni”.

Il confronto:
G: Rispetto alla tragedia in corso la protagonista mi sembra molto staccata. Non mi è piaciuto, non mi ha lasciato molto. Non ho percepito un grande coinvolgimento.
A :  E' un libro leggero. E' la leggerezza che permette alle parole di superare la tragedia. Con l’umorismo descrive  le assurde politiche del popolo israeliano. E' un diario personale, scritto con risvolti ed effetti terapeutici, durante i coprifuoco israeliani, da Suad Amiry, scettica palestinese. E' un libro malinconico, da cui emerge la straordinaria forza d’animo dell’autrice che, attraverso l’ironia, sogna un futuro migliore per il suo popolo. E' un libro triste, perché nelle sue parole si percepisce il senso di soffocamento dato dal vivere come prigionieri nella propria casa. Sharon è il falco, il bulldozer. La suocera è petulante.
E. : Mi è piaciuto molto perché l'autrice è molto ironica. Nella tragedia si percepisce un senso di abitudine alla guerra.
L.: Mi ha fatto ridere la telefonata con Bush. Stiamo parlando di una famiglia benestante, che ha vissuto questa guerra ad un certo livello. Infatti la disturba maggiormente il coprifuoco che la guerra. Non ho colto la sofferenza, ma più che altro una denuncia nei confronti degli israeliani. Non mi è piaciuto molto.
G.: L’aspetto più umano di questa donna emerge quando ricorda la sua infanzia.
M. : Dal punto di vista letterario non mi ha molto colpito e non mi è piaciuto molto. Non sono riuscito a capire se era un racconto o un romanzo. La seconda parte "Se questa è vita" mi è piaciuta maggiormente perché ci sono racconti meditati. Ciò che mi ha colpito di più non è la leggerezza anzi, l’ho trovato angosciante. Per esempio un fatto che la scrittrice descrive sorridendo è che bisogna fare 20 km con 10 posti di blocco…non mi fa sorridere...
La parte considerata leggera è un pretesto che l'autrice ha colto per raccontare. E’ un libro pieno di odio e sembrerebbe dai fatti che con questo sentimento da entrambe le parti non si approderà mai a nulla. E’ un libro pieno di odio che definirei sorridente.
C. : Non credo che ci sia questo odio così radicato. La scrittrice ha molti amici israeliani e fa parte di un tavolo di trattative per la pace. C’è la volontà e l’intenzione di molti, soprattutto gli intellettuali sia israeliani che palestinesi, di trovare dei punri di incontro e di aprie un dialogo. Ma, a livello politico, forse no.
La seconda parte "Se questa è vita" è contenuta solo nell'edizione più recente.
M.R.: Mi è piaciuta Amy Suad, soprattutto perchè ha passato dei brutti momenti ma li ha superati con dignità.
E’ una persona ricca benestante dalla nascita. Comunque una privilegiata.
E. : Sono rimasta perplessa poiché non ho sentito questa rabbia, questo odio nei confronti del popolo israeliano, ma ho visto il dolore.
La suocera, a differenza delle premesse, non era poi così insopportabile.
C. B.: Mi è sembrato strano vedere una donna così intraprendente, che si muoveva con la paura ma aveva comunque determinazione. Era una donna forte, consapevole e sicura, nonostante la paura. Una donna coraggiosa.
C.: Non ho percepito neppure io quest’umorismo di cui tanto si parla nelle critiche. Non mi faceva sorridere, ma come a M. mi ha riempito di angoscia. Semmai ciò che fa onore alla protagonista-autrice è l’assenza totale di vittimismo. La dignità nella tragedia.
Con la scrittrice Manuela Dviri, israeliana, Suad Amiry ha condiviso il Premio Internazionale Viareggio-Versilia, che viene attribuito a personalità che operano in favore della pace tra i popoli .

PAROLE RICORRENTI NELLA SERATA : distacco, umorismo, dignità, assenza di vittimismo, odio sorridente, coraggio nella paura.

martedì 13 settembre 2011

Una pace perfetta di Amos Oz


Ci siamo incontrati
Martedì 13 settembre 2011
alle ore 20,30
nella sede della Biblioteca Comunale
 e confrontati sulla lettura del libro
Una pace perfetta
di Amos Oz
Feltrinelli Editore


TRAMA: Kibbutz Granot. È un inverno piovoso, interminabile. Il buio cala presto, fa freddo e solo il calore dentro le case è capace di consolare. Yoni e Rimona sono due giovani sposi malinconici: lei sogna i figli che non ha avuto, lui il deserto, la fuga. Hava e Yolek invece rimuginano su vecchi rancori e nuove delusioni. Bolognesi, un ex detenuto graziato, un tipo strano ma con delle mani d'oro, lavora a maglia e borbotta frasi incomprensibili. Poi, nell'ennesima sera di pioggia, fa la sua comparsa Azariah, un ragazzo tutto ingenuità ed entusiasmo. Da quella sera, le cose a poco a poco cambiano. Ciascuno sembra andare progressivamente verso il proprio destino. E forse smetterà di piovere. Ambientato alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, "Una pace perfetta" incastona la vita di un kibbntz nella storia d'Israele e nel presente.

martedì 26 luglio 2011

Revolutionary road di Richard Yates

Ci  siamo incontrati
Martedì 26 luglio 2011
alle ore 20,30
nella sede della
Biblioteca comunale
in via Onzato, 56, Castel Mella
per confrontarci sulla lettura del libro:
Revolutionary Road
di  Richard Yates edizioni Minimum fax


 
Trama : È il 1955; i Wheeler sono una coppia middle class dei sobborghi benestanti di New York, che coltiva il proprio anticonformismo con velleità ingenua, quasi ignara della sua stessa ipocrisia: la loro esistenza scorre fra il treno dei pendolari, le cenette alcoliche con i vicini, le recite della filodrammatica locale, ma Frank e April si sentono destinati a una vita creativa e di successo, possibilmente in Europa. Nella storia della giovane famiglia in apparenza felice la tensione è nascosta ma crescente, il lieto fine impossibile, e l'inevitabile esplosione arriva con una potenza da dramma shakespeariano.

martedì 14 giugno 2011

Mio amato Frank di Nancy Horan

Ci siamo  incontrati
Martedì 14 giugno 2011
alle ore 20,30
nella sede della
Biblioteca comunale
 in via Onzato, 54, Castel Mella
per confrontarci sulla lettura del libro:
Mio amato Frank 
di Nancy Horan edizioni Einaudi

Trama : Prima del Guggenheim di New York, prima della Casa sulla cascata, Frank Lloyd Wright nel 1909 era solo un giovane promettente architetto. Così, quando Mamah Cheney e il marito decisero di affidargli il progetto della loro nuova casa, sembrava un incarico come un altro. Nessuno poteva sapere che quella casa sarebbe finita nei manuali di architettura. Né che sarebbe stata la scintilla di un adulterio e di un amore scandaloso. Sette anni di ricerche storiche, diari, lettere e documenti per un romanzo che è al tempo stesso l'avvincente ritratto di un'anima femminile e del suo tormento, e un affresco di un'intera epoca storica.


martedì 10 maggio 2011

I fuochi del Basento di Raffaele Nigro

Ci siamo incontrati 
Martedì 10 maggio 2011
alle ore 20,30
nella sede della
Biblioteca comunale
 in via Onzato, 54, Castel Mella
per confrontarci sulla lettura del libro:
I fuochi del Basento
di Raffaele Nigro edizioni Bur 
Trama: Al centro di questo struggente romanzo corale ambientato nel Sud (in Puglia, Basilicata, e Calabria tra il 1784 e il 1861) c'è il sogno di una repubblica contadina. Una saga di sangue e poesia, di eventi surreali e visioni, di dialoghi con i morti e gli animali, di affetti quotidiani e devastanti passioni.

martedì 5 aprile 2011

Signora Ava di Francesco Jovine

Ci siamo incontrati
Martedì 5 aprile alle ore 20,30
nella sede della
Biblioteca Comunale
per confrontarci sulla lettura del libro

Signora Ava
 di Francesco Jovine editore Donzelli

Trama: Un mondo intero in un romanzo. É l'impresa che riesce a compiere Francesco Jovine, scrittore tra i più arditi del nostro Novecento, in questo che è stato il suo libro più noto e amato, prima di cadere nel dimenticatoio che negli ultimi vent'anni ha ingoiato tutto ciò che ci ricorda l'Italia che eravamo - a meno di un paio di eccellenti eccezioni come "Il Gattopardo" e "Cristo si è fermato a Eboli". Il mondo che Jovine ritrae, infatti, è lo stesso di quei due capolavori, e di quel mondo il romanzo intreccia storie ed emozioni nuove a vecchie credenze e leggende risalenti ai tempi mitici della "Signora Ava", dure a morire in una comunità contadina quale è il Molise, tra il 1859 e il 1860, alla vigilia dell'Unità d'Italia e della fine del regno borbonico. Fatto sta che in questo mondo sospeso tra un presente immobile e un passato che non passa, tra le beghe di paese, il notabile, il curato, il maestro, il proprietario e il bracciante, ecco che a un tratto fa irruzione la "Storia" con i suoi protagonisti. L'impatto è brusco, il pacato ritmo del paese ne esce sconvolto. Immobilismo e azione, folklore e storia, tradizione e futuro: quanti romanzi riescono a mescolare così tanti registri? Non a caso la critica ha evocato, a proposito di Jovine, il realismo manico di un Garda Màrquez: per questa capacita di trasporre un pezzo vivido di realtà in un tempo sospeso tra il fantastico e il mitico. (Prefazione di Goffredo Fofi, postfazione di Francesco D'Episcopo)

sabato 5 marzo 2011

Incontro con l'autore: Giuseppe Pederiali


Incontro con l'autore GIUSEPPE PEDERIALI
intervistato da Alex Rusconi

SABATO 5 marzo ore 21
CASTEL MELLA
Auditorium "G. Gaber"
Via Onzato, 54

Rassegna "Un libro, per piacere! Storie d'Italia"

A cura di Michele Curatolo, del GDL di Castel Mella


Le vorremmo chiedere, prima di tutto, una definizione del suo modo di essere scrittore.

A me è sempre piaciuto raccontare. Da piccolo, quando ancora frequentavo la scuola elementare, gli unici momenti piacevoli li passavo durante la lezione di italiano, mentre la maestra leggeva alla classe i miei temi, che già da allora erano delle piccole storie. Quando dovevo studiare matematica, invece, ero il più asino di tutti.

Dunque il suo talento di scrittore nasce da una predisposizione naturale.

Direi di sì. Ma vorrei precisare ancora meglio: più che scrittore, io mi considero un cantastorie, uno dei quei personaggi che, un tempo, se ne andava in giro per paesi e città con un po’ di fantasia e una scorta di storie da raccontare alla gente nelle piazze. In realtà non sono un cantastorie, anche se pubblico perlopiù romanzi storici. C’è però una differenza tra il mio modo di scrivere e quello degli storici ufficiali o dei saggisti.

In che senso?

Chi scrive un saggio deve essere scientifico, rigoroso, persino un po’ freddo rispetto ai fatti che tratta. Mestiere nobilissimo quello del saggista, sia chiaro. Ma io scrivo romanzi, non saggi: la mia narrativa ha l’ambizione di dare ai lettori emozioni, e non solo nozioni. Secondo me il compito del romanziere è di arrivare con l’immaginazione là dove lo storico, con i fatti, non può o non riesce a giungere. Il limite dello storico è proprio la tirannia del fatto: senza fatti, senza prove, senza fonti non può scrivere, resta senza voce. Lo scrittore, al contrario, con la fantasia può creare emozioni e personaggi e, in questo modo, aiutare il lettore a meglio interpretare l’epoca che sta descrivendo. Ma attenzione: il romanziere che si occupa di storia non deve mai allontanarsi dalla verità, non deve mai mentire. La sua fantasia deve essere sempre sorvegliatissima.

Cioè?

Chi scrive romanzi storici o, almeno, di argomento storico, deve impegnarsi a mantenere un equilibrio fra realtà e finzione. È un discorso lungo, ma per riassumerlo direi che il romanziere storico, per essere davvero credibile e coerente, può e deve creare, ma non deve mai inventare gratuitamente. Insomma, anche se fa opera di finzione, lo scrittore che tratta di storia deve essere sempre preparato e documentato, in modo che il realismo delle sue opere sia sempre perfetto. Per conseguire ciò, è necessario che vada sempre a fondo, controllando ogni particolare che ha messo sulla pagina, senza dare mai nulla per scontato.

Non le è mai capitato, nonostante la sua attenzione, di commettere qualche errore nei suoi scritti? Di inserire cioè dettagli erronei o palesemente falsi? E di essersene reso conto solo a opera pubblicata?

Certo che mi è successo. Ad esempio, proprio perché non ho operato su un mio romanzo il controllo di cui vi dicevo, ho fatto comparire in una città che credevo mi fosse perfettamente nota - come Modena - una strada che di fatto non esisteva – come via Lenin, che non è a Modena, ma a Carpi. E a volte mi è anche capitato di essere colto in fallo da qualche lettore attento. Anzi, nel caso della fantomatica via Lenin ho fatto una scommessa con un signore modenese, mio affezionato lettore, che mi aveva contestato l’errore.
Naturalmente ha perso la scommessa?

Certo, e ho dovuto pagargli una cena nel migliore ristorante della città. E voi sapete come, e soprattutto quanto si mangia da quelle parti!

Da quale storia (o da quali storie) nasce l’ispirazione dei suoi romanzi?

La storia mi piace moltissimo. Soprattutto la storia contemporanea. Le vicende che amo di più sono legate al periodo della seconda guerra mondiale, con particolare riguardo agli episodi della persecuzione degli ebrei. Quanto alla mia ispirazione… bè, forse “ispirazione” è una parola troppo grossa. Direi piuttosto che le idee per i miei romanzi, oltre che dalla grande storia, nascono da piccoli particolari, da momenti di riflessione, o a volte anche da avvenimenti minori (o minimi) che io stesso vengo a sapere, e poi rielaboro.

Per esempio?

Nel romanzo che ho appena pubblicato, Il ponte delle sirenette, tutto è nato dalla storia minore di un piccolo ponte di Milano, la città dove oggi risiedo. È un ponte in metallo, al parco Sempione, adornato dalle statue di quattro sirene che, come tutte le sirene, non sono mai troppo vestite. I milanesi le chiamano affettuosamente “le sorelle di ghisa” o, più familiarmente, parlano del ponte come “el pont dei ciapp”. È anche diffusa la credenza che porti fortuna accarezzare il didietro di queste statue.

Questa è l’idea iniziale. Ma la storia delle sirenette come prosegue?

Forse vi dovrei invitare a leggere il romanzo, ma per adesso vi basti questo: c’è una leggenda a Milano secondo la quale le sirene, venendo dal mare, entravano nella città risalendo i Navigli, si accoppiavano volentieri con gli uomini, e davano poi alla luce dei figli, anzi, per una particolarità della loro stirpe, unicamente delle figlie, anch’esse sirene. Questo è lo sfondo della vicenda. Le protagoniste della storia sono, ovviamente due sirene milanesi, madre e figlia. Si chiamano Colombo, cognome che in quella città si dà ai trovatelli, ai senza padre, ai figli di N.N., così come a Firenze queste stesse persone vengono chiamate Innocenti e a Napoli Esposito.

Se poi volete una risposta da scrittore vero e proprio, vi potrei dire che la vicenda delle mie sirenette è un pretesto per narrare la storia della Lombardia e, in particolare, della città di Milano.

Che lingua usano i suoi milanesi? Il dialetto?

Vedete, a me non piacciono gli impasti linguistici, in cui italiano e dialetto vengono mescolati nella medesima frase. Preferisco piuttosto riportare per intero qualche espressione dialettale, cercando però di non esagerare mai. D’altra parte neppure amo chi usa una lingua del tutto distaccata dai propri personaggi. Persino in autori sommi come Manzoni capita a volte di assistere a scivolate francamente ridicole, come quando Renzo e Lucia, nei Promessi Sposi, si servono di espressioni toscaneggianti (“passami codesta tazza”) che mai e poi mai i popolani del contado lecchese del Seicento avrebbero potuto usare.

Insomma, quello della lingua è veramente un problema arduo da affrontare in un romanzo di genere locale. Ne Il ponte delle sirenette, più che largheggiare con il dialetto, ho preferito dare all’italiano, che nel testo è prevalente, una lieve coloritura meneghina, di cui mi sono impadronito leggendo e rileggendo le poesie milanesi di Delio Tessa, uno dei più grandi autori dialettali del Novecento. Ma notate bene: non ho voluto usare la poesia del Tessa come repertorio di termini fini a se stessi. Piuttosto mi sono servito di essa per meglio calarmi nello spirito del tempo e nella città che andavo raccontando.

In ogni caso possiamo dire che la sua Milano è un po’ diversa dagli stereotipi correnti.

Diversa non lo so. La mia Milano io l’ho conosciuta nelle notti in cui, giovane giornalista appena arrivato dall’Emilia, un po’ per lavoro e un po’ per divertimento, mi capitava di frequentare i cabaret. Anzi, a quell’epoca, alla fine degli anni Cinquanta, a Milano il cabaret vero e proprio era uno solo, il CUP 64, oggi scomparso. Al CUP ho conosciuto dei giovani che tentavano di farsi strada nel mondo dello spettacolo: fra di loro c’era Giorgio Gaber, un grandissimo artista, cui questo auditorium è intitolato.

Non era però la Milano da bere; era piuttosto la Milano del miracolo economico, piena di idee, di stimoli e di incontri. Anzi, allora tutti incontravano tutti in città. Immaginate che bastava andare in libreria per imbattersi in scrittori del calibro di Dino Buzzati, o anche di Giancarlo Fusco. Oggi, a parte qualche occasione pubblica, è impossibile incontrare gli scrittori, e tanto meno in libreria. Non ci vanno mai. O forse ci vanno quando sono sicuri di non trovare i giornalisti.

Dino Buzzati lo conosciamo tutti, mentre Giancarlo Fusco è uno scrittore oggi quasi del tutto dimenticato. Ci sembra di capire che lei lo apprezzi molto. Ce ne può parlare?

Giancarlo Fusco, eccellente scrittore e giornalista, era un grande bugiardo, ma estremamente piacevole da ascoltare. Le balle, infatti, sapeva raccontarle benissimo. Il meglio di sé, oltre che nelle sue opere, lo dava di notte, al cabaret: era un instancabile conversatore e un grande bevitore. Pensate che alla ditta Nardini, suo fornitore abituale di grappa, per anni furono convinti che all’indirizzo milanese di Fusco, cui periodicamente inviavano un grande numero di bottiglie, non corrispondesse l’abitazione di una sola persona ma, addirittura, la sede di un bar con molti avventori! Solo molto tempo dopo si resero conto che tutti quegli ettolitri di grappa se li scolava solo lui!

Non escludo che, anche grazie a questo suo furioso etilismo, Fusco fosse un ottimo scrittore. Ricordo solo uno dei suoi romanzi, Le rose del ventennio, che ancor oggi mi sentirei di consigliare.

Torniamo allo scrittore Pederiali, e facciamo un gioco. Noi le citeremo alla rinfusa i titoli di alcuni suoi romanzi, e lei, per ognuno di essi, troverà una frase, un ricordo, un pensiero adatto per descriverli o caratterizzarli? Le va?

Proviamo.

“Il tesoro del Bigatto”.

Uno dei miei primi romanzi, pubblicato nel 1980. È ambientato nel Medioevo, al tempo della lotta per le investiture. Un romanzo storico dunque, ma anche una bella storia per ragazzi.

“La vergine Napoletana”.

Questo è un romanzo recente, uscito nel 2009. Anch’esso narra una storia medioevale, che ha come protagonista una donna. Anzi, il romanzo ha proprio l’ambizione di descrivere la condizione femminile in quel periodo.

“I ragazzi di Villa Emma”.

Uscì nel 1989, e narra l’avventura di un gruppo di ragazzi ebrei, perseguitati dai nazisti, che, durante la seconda guerra mondiale, vennero protetti e messi in salvo dagli abitanti di una cittadina italiana, Nonantola, in provincia di Modena. Dal libro è stato anche tratto uno sceneggiato televisivo.

I romanzi di Camilla.

È giusto che diciate “i romanzi”. Di Camilla, che di professione fa l’investigatrice, ho scritto diverse storie a partire dal 2003 (la prima si intitolava Camilla nella nebbia). Camilla è un personaggio fortunato: alcune delle sue storie sono state tradotte e pubblicate in Germania e in Giappone. A questo proposito vorrei farvi notare come per me sia ancor oggi un mistero il modo in cui i traduttori dei miei libri siano riusciti a trovare i toni e le parole adatte per rendere alcune sfumature così italiane, che io credevo impossibili da capire per degli stranieri. Eppure sembra ci siano davvero riusciti: non solo per la loro competenza, ma soprattutto perché, come mi ha spiegato il mio traduttore tedesco, le esperienze e i fatti da me narrati li avevano vissuti nello stesso modo, anche se a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia, e dunque sapevano bene di che cosa stessi scrivendo.

Si può dire che Camilla sia il suo personaggio preferito?

Vi dirò di più. Io sono innamorato di Camilla. Se davvero esistesse, mi ci fidanzerei all’istante. In realtà è il personaggio che utilizzo, nella cornice del romanzo giallo, per indagare l’animo femminile nella società moderna: per renderlo più credibile mi sono documentato, incontrando, fra l’altro, alcune donne-poliziotto. Partendo dalle loro testimonianze, ho poi cercato di trasporre nei romanzi di Camilla le modalità con cui una donna affronta le indagini per risolvere un omicidio.

L’ultimo della serie Camilla si intitola “Camilla e il Rubacuori”.

Sì, “Camilla e il Rubacuori” è una storia diversa dalle solite. Più che un giallo classico come i precedenti, alla Agatha Christie per intenderci, dove l’intelligenza e la logica prevalgono sull’azione, qui la mia protagonista è alle prese con una vera e propria vicenda “nera”. O, se volete, nero-camilliana: dà infatti la caccia a un serial killer.

Che cosa può dirci de “Il sogno del maratoneta”, il romanzo che è stato recentemente scelto, letto e commentato dal nostro GDL?

“Il sogno del maratoneta”, uscito nel 2008, è un romanzo dedicato alla figura di Dorando Pietri, il famoso podista italiano. Nativo di Carpi, mio conterraneo, Dorando è passato alla storia non per una vittoria, ma per una sconfitta. Tutti si ricordano infatti di come, alle Olimpiadi di Londra del 1908, dopo aver staccato gli avversari, entrò nello stadio gremito di folla e giunse in solitudine in prossimità del traguardo della maratona. Purtroppo era così prostrato dallo sforzo da non riuscire a superare la fettuccia bianca se non grazie all’aiuto di un giudice compassionevole. Proprio per questo aiuto indebito fu squalificato, e privato del primo posto. Ma Dorando, pur perdendo la medaglia d’oro, suscitò la simpatia e la compassione universale, e divenne immediatamente famoso in tutto il mondo.

Una bellissima storia.

Sì, molto bella. Tuttavia vi confesso che, prima di iniziarla, sono stato a lungo incerto se scrivere su Dorando Pietri un romanzo o una biografia.

È il dilemma fra lo storico di professione e il cantastorie di cui parlava all’inizio.

Proprio così. Sta di fatto che su Pietri mi ero preparato, avevo raccolto molto materiale, e avrei potuto ricavare un saggio biografico, con il quale tentare un’analisi, da una prospettiva un po’ diversa dalle solite, della società italiana della prima metà del secolo scorso, a partire dalla belle époque fino alla seconda guerra mondiale.

Perché ha deciso infine per il romanzo?

Perché in me ha prevalso lo spirito del cantastorie. Perché i miei personaggi, più che lasciarsi imbrigliare nella saggistica, hanno cominciato a parlare, e a reclamare di diventare veri protagonisti, di essere narrati, di essere mostrati in azione più che descritti.

E così?

E così, una volta di più, anche questo romanzo è venuto fuori come una via di mezzo fra realtà e finzione. Lo potrei definire una biografia romanzata: da un lato c’è l’impalcatura storica, con gli avvenimenti memorabili che si succedevano nel corso del tempo; dall’altro c’è l’intreccio che lega Dorando e gli altri personaggi, un intreccio che a volte è di fantasia, e a volte è autentico. Nel libro c’è anche un piccolo scoop, di cui mi vanto di essere lo scopritore. Un fatto vero: è la storia d’amore, nata su una nave durante una traversata atlantica, fra Dorando, diretto in America per una serie di gare, e una bella emigrante italiana, che stava viaggiando con la famiglia verso il Nuovo Mondo in cerca di fortuna. Pochissimi conoscevano questo fatto: anche perché a quell’epoca Dorando Pietri era fidanzato con la donna che sarebbe poi diventata sua moglie; mentre lei lo aspettava in Italia, lui nel corso di un viaggio di qualche settimana ebbe tutto il tempo per organizzarsi un amore clandestino.

Da questo romanzo è stato tratto un altro sceneggiato televisivo, vero?

Sì, è una fiction prodotta da Luca Barbareschi che uscirà sugli schermi televisivi fra poco. Dorando Pietri è interpretato da Luigi Lo Cascio, mentre il ruolo della bella emigrante è stato affidato a Laura Chiatti.

Lei l’ha già visto? Che ne pensa?

È ovvio che assistere a un lavoro tratto da un mio libro non possa che farmi piacere. Tuttavia devo dire che, come talvolta capita, gli sceneggiatori, per amore di spettacolo, hanno trattato un po’ troppo liberamente la mia storia.

In che occasione?

Per esempio nella rappresentazione della storia d’amore fra Dorando e l’emigrante. A un certo punto nella fiction si apprende che lei non solo è l’amante di Dorando, ma che lo è stata anche di un altro atleta. Guarda caso, proprio di quel maratoneta di New York che, a causa della squalifica di Pietri a Londra, gli aveva soffiato la medaglia d’oro olimpica. Questo non solo è falso, ma è del tutto inverosimile. In ogni caso, se vi capiterà di vedere lo sceneggiato, sappiate che questo sviluppo non è farina del mio sacco, e che anzi io me ne dissocio totalmente.

Per finire, qualcosa di meno impegnativo, almeno all’apparenza. Vorremmo chiederle, come si fa con tutti gli scrittori, qualche consiglio di lettura. Se, per non offendere nessuno, non vuole fare nomi di colleghi italiani, o dei loro libri, può sempre ripiegare sugli stranieri.

L’unico straniero che vorrei citare è John Irving, autore del romanzo che, sinceramente, avrei voluto scrivere io: Il mondo secondo Garp. Quanto agli italiani, non ho nessun problema a parlarne. Anzi, confesso che mi fanno ridere coloro che, rispondendo a questa domanda, dicono sempre: “Sto rileggendo Proust”, oppure: “Ho giusto ripreso in mano Dostoevskij”. Ma quale Proust? A un’età come la loro Proust deve essere già stato letto e riletto. Confessino piuttosto che non conoscono le opere dei colleghi, o che le invidiano, o che non le possono sopportare!

Comunque sia, fra gli scrittori italiani che apprezzo cito Giancarlo Fusco, di cui già abbiamo detto, e Luciano Bianciardi. Degni di nota sono anche Bruno Gambarotta e Inisero Cremaschi (un milanese residente a Palazzolo sull’Oglio). Ricordo volentieri infine un amico, Roberto Barbolini, con cui ho collaborato, e che è l’autore di Piccola città bastardo posto, un romanzo biografico dedicato a Antonio Delfino, scrittore, poeta e giornalista di Modena.

Ringraziamo dunque Giuseppe Pederiali e auguriamogli il meglio per Il ponte delle sirenette, il suo ultimo libro.

Vi prego, non parlate mai a uno scrittore del suo “ultimo libro”. Stasera è la seconda volta che usate questa funerea espressione, e per la seconda volta mi vengono i brividi. Non sapete che porta male? Non sapete che chi è arrivato all’“ultimo libro” di solito non potrà più scriverne nessun altro? Ditemi piuttosto: “il suo libro più recente”. Almeno mi rimarrà qualche speranza di vivere ancora per un po’. Non preoccupatevi, però: il mio è solo uno scherzo. Però ricordate che dietro allo scherzo talvolta si cela la verità.

Grazie e arrivederci a tutti.



Per informazioni sulla rassegna di letture e spettacolari e incontri con l'autore "Un libro, per piacere! Storie d'Italia" 
è possibile consultare il sito: 
http://www.sistemasudovestbresciano.it/

martedì 22 febbraio 2011

Il sogno del maratoneta di Giuseppe Pederiali


Ci siamo incontrati

Martedì 22 febbraio 2011 
alle ore 20,30

nella sede della biblioteca

per confrontarci sulla lettura del libro

 Il sogno di un maratoneta di Giuseppe Pederiali