Trama(da IBS): Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza di
un carcere del Nord Italia. Sulle labbra, la dichiarazione di
innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo
senza vita di sua moglie. Su consiglio del proprio avvocato, Giacomo
decide di raccontare la propria vicenda, l'inevitabile serie di eventi
che lo ha condotto in quella cella. E così torna all'epoca in cui, per
riuscire a sopravvivere a Parigi, alternava il lavoro di curatore di
mostre per bambini, a quello di cameriere. Era in quel periodo che aveva
conosciuto Shirin. Non l'aveva trovata subito bella, almeno non nel
senso consueto del termine; era stato attratto piuttosto dalla storia
che i suoi occhi sembravano celare, da quel profondo distacco verso chi
le stava accanto, come se per lei la vita vera fosse altrove. Ci sono
amori che iniziano all'improvviso, con notti memorabili, il loro invece
era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare.
L'innamoramento, il matrimonio e poi la decisione che avrebbe cambiato
le loro vite per sempre: lasciare Parigi per trasferirsi a Molini, sulle
montagne piemontesi, nel paese dove lui era nato. Ma nessun luogo è al
riparo dal vento dell'odio, dal fanatismo delle religioni,
dall'arroganza del potere, dall'intolleranza strisciante. Così il
paradiso aveva cominciato a scivolare verso l'inferno, prima piano, poi
sempre più rapidamente, fino ad arrestarsi lì, in quella cella, con il
tormento del ricordo d'un amore reso perfetto dalla morte.
Il confronto
M: E’ una storia molto amara, il
nucleo centrale del libro non è il progressivo declino della storia d’amore, ma
il tarlo dell’intolleranza che si insinua tra i due amanti.
C.: La coppia protagonista,
Shirin e Giacomo, è unita da un sentimento fragile e ricerca un’identità nel
mondo esterno. L’assenza di dialogo tra i due protagonisti causa conflitti e
incapacità di empatizzare con l’altro.
P.: L’espediente narrativo delle
foto mi fa rievocare l’arte cinematografica anche se il risultato è un po’ più
pesante. Mi è piaciuta molto la descrizione della felicità assoluta
dell’innamoramento, al confronto con la quale tutto scade nell’ordinaria
felicità. Shirin ha una psicologia labile, fragile, è sempre alla ricerca di
radici, di una vita semplice in cui identificarsi. Nel finale
banalmente colpevolizza la religione e i pregiudizi come causa della
propria infelicità, affermando che ”l’ateismo è la sola religione di pace.”
R.: Il messaggio del libro è che l’intolleranza può portare alcune
persone a gesti estremi. I due protagonisti non mi sono piaciuti molto: Giacomo
è in difficoltà a gestire una donna come Shirin, piena di se stessa ma colta e
intelligente. Giacomo è un personaggi deludente, in quanto non difende la
moglie contro tutti, ma cade nel pregiudizio.
Mi hanno maggiormente tediato la descrizione delle fotografie e la
parte centrale del libro, mentre nel finale la vicenda sembra prendere vita.
Nel complesso è una deliziosa storia amorosa.
L.: I personaggi mi sono piaciuti. All’inizio Giacomo appare come un
ragazzo timido e imbranato, ancora inesperto delle gioie d’amore. Shirin, invece,
seguiva il proprio compagno restando
nell’ombra, sentendosi estranea al club di artisti e geni incompresi dal mondo.
Giacomo ritorna al paese, a Molini, per vivere le antiche tradizioni,
per trovare qualcosa in cui credere e identificarsi. L’intolleranza, però, non
tarda a insinuarsi nella vita del tranquillo paesino di montagna, come descrive
splendidamente l’autore: «Ma il seme dell’odio germoglia nei posti più
insospettabili, all’ombra di quello che pare buon senso e invece è solo
grettezza e stupidità».Perissinotto mostra come alcune situazioni nascono in
sordina ma portano a conseguenze disastrose. Il protagonista si sente in colpa
per non aver capito la situazione e il disagio della moglie.
E.: Il libro mi è piaciuto
molto, stupendomi continuamente. Sembra che l’autore voglia ingannare il lettore,
facendogli credere che Giacomo sia il vero assassino.
Una figura interessante è quella della madre di Shirin, che fino
all’ultimo insinua nel protagonista il dubbio di non aver difeso a sufficienza
la moglie, ripetendo queste spietate parole: “Ma tu sei sicuro di aver fatto
tutto per lei?”. Il finale del libro mi ha fatto comprendere le difficoltà di
difendersi quando le tue
idee sono diverse da quelle degli altri.
M.: E’ un libro che spazia
all’interno dei sentimenti e delle emozioni, passando dalla rappresentazione
dell’amore a quella dell’odio. L’amore fa superare ogni diversità, permettendo
di avvicinare persone con culture, origini e religioni diverse. L’odio, invece,
accentua le differenze, non permette l’integrazione e rifiutando ciò che non è
allineato. La storia d’amore di Shirin e Giacomo è una combinazione
meravigliosa di culture, religioni e paesi diversi.
Molini, un piccolo paese di montagna, dà la possibilità ai due giovani
protagonisti di ricostruire un passato comune, identificandosi nella cultura e
nelle tradizioni locali: Shirin si integra nel gruppo di canto del paese e
Giacomo insegna nella scuola elementare.
Qui vivranno il periodo più bello e fecondo della loro vita che culmina
nell’unione in matrimonio. Proprio in questa realtà, inizialmente ospitale,
conosceranno l’insofferenza e il pregiudizio verso gli stranieri e verso
l’impostazione aperta dell’ insegnamento di Giacomo. Questo seme dell’odio porterà
Shirin ad avvicinarsi alla cultura islamica che finora non aveva condiviso,
staccandosi da Giacomo, ormai incapace di comprenderla. Il suo avvicinamento al gruppo di giovani
islamici le è costato la
vita. Nel finale Shirin appare come una persona completamente
diversa: non è più una giovane ragazza che non si fa problemi a mostrare la
nudità del proprio corpo in spiagge di nudisti, ma diviene vittima
dell’intolleranza. Emerge un netto contrasto con la frase pronunciata da Shirin
a Parigi all’inizio del libro: “i
musulmani hanno in testa solo il Corano. Vacche, capre e donne per loro è tutto
uguale”.“L’unica legge che servirebbe sarebbe quella di vietare di professare
qualsiasi religione come ai tempi della rivoluzione”
La vicenda fa comprendere che la fedeltà alle proprie origini non deve
mai essere a scapito del mondo e all’autentico incontro con gli altri.
MP. Mi è piaciuta molto la struttura narrativa, in particolare
l’alternanza iniziale dei punti di vista tra l’avvocato difensore e il recluso
nel carcere, Giacomo Musso. La storia del protagonista, incolpato ingiustamente
della morte della moglie, può testimoniare il cattivo funzionamento della
giustizia che spesso colpevolizza innocenti. Progressivamente si scopre che
Giacomo non è semplicemente accusato di reato passionale, ma anche di essere
complice dell’attentato terroristico di Shirin.
La scrittura assume un ruolo fondamentale quale mezzo di espiazione,
di scavo interiore e di approfondimento, divenendo l’unica ragione di vita per
Giacomo.
Interessante è la considerazione del paese che richiama quella
presente in molti libri di Pavese (es. Paesi
tuoi, La casa in collina). Emerge il tema delle radici, della necessità di
un paese e di una terra d’origine in cui riconoscersi. La duplicità pavesiana
di Torino e le Langhe sembra proiettarsi nell’opposizione tra Parigi e Molini.
Nel finale emerge, però, l’impossibilità di integrarsi, con il risultato di un
forte senso di estraneità, di amarezza e di impossibilità di ritrovare la
propria strada.
Un tema caldo, che attraversa tutto il libro, è quello
dell’integralismo islamico. Shirin è una donna debole e fragile, cerca forza in
altri: prima negli uomini, poi a Molini e nei canti popolari e infine
nell’islam.
È alla ricerca di un’origine mancata. I suoi genitori sono islamici e
parigini, con mentalità aperta e cosmopolita. È molto interessante la
trasformazione della donna: prima ostenta la nudità del corpo e poi si nasconde
sotto un burqa. La sua conversione all’islam risulta essere una scelta dettata
dall’odio, non da una profonda e sincera conversione.
Nessun commento:
Posta un commento