L’opera di Joseph Roth si dispone naturalmente su due versanti: da una
parte l’epos del tramonto asburgico, dall’altra quello della dispersione
dell’ebraismo orientale. Giobbe è il libro più celebre, più
riccamente articolato e più potente che rappresenta questa ‘altra parte’
di Roth. Pubblicato nel 1930 e accolto subito da un successo
internazionale, si può dire che questo romanzo equivalga, sul suo
versante, alla Marcia di Radetzky, come felice tentativo di
narrazione epica, dal respiro vasto e avvolgente, evocatrice dei più
minuti particolari e insieme scandita sin dall’inizio come una favola.
Il Giobbe di Roth si chiama Mendel Singer, è un «uomo semplice» che fa il ‘maestro’, cioè insegna la bibbia ai bambini di una cittadina della Volinia russa e ai propri figli: «migliaia e migliaia di ebrei prima di lui avevano vissuto e insegnato nello stesso modo». La sua vita scorre quietamente, «fra magre sponde», ma chiusa in un ordine intatto, fino alla nascita del quarto figlio, Menuchim, che è minorato. Da allora in poi, se «tutto ciò che è improvviso è male», come dice Mendel Singer, molti mali cominciano a sfrecciare sulla sua vita. Dovrà abbandonare la sua terra per andare a New York, in un mondo che gli è totalmente estraneo, e la moglie – ancora una volta un memorabile personaggio femminile –, la figlia e i figli saranno uno dopo l’altro toccati dalla guerra, dalla morte, dalla pazzia. Via via che sprofonda nella solitudine e nella disperazione, il Giobbe di Roth, quest’uomo comune che aveva seguìto nella sua vita l’ordine dei padri senza quasi riflettere, si staglia sempre più grandioso: dopo aver «visto andare in rovina un paio di mondi», si trova sul punto di bruciare i suoi libri sacri perché vuole «bruciare Dio» – e in quel momento raggiunge un’intensità e una essenzialità che sembrano negate per sempre ai consolatori che gli si affannano intorno. Ora soltanto, Mendel diventa veramente un «uomo semplice»: più la vita lo spoglia e lo sradica da tutto, più egli appare fermo, con lo sguardo lucido e una forza segreta di resistenza che gli impediscono di crollare. Una sotterranea corrente vitale lo lega al figlio che era stato dato per perduto: il loro insperato e miracoloso incontro, alla fine, è il ricongiungersi di queste due correnti che hanno continuato a scorrere fra le rovine della morte e dell’esilio, riapparendo sempre, testardamente, come unica risposta agli enigmatici colpi della sventura. Tutto il sapore, l’immenso «pathos», l’antica saggezza e l’indistruttibile forza vitale di una grande civiltà, sempre minacciata e condannata alla dispersione, sembrano concentrarsi nel profondo sonno finale di Mendel Singer, carico del «peso della felicità e della grandezza dei miracoli».
Il confronto
Il Giobbe di Roth si chiama Mendel Singer, è un «uomo semplice» che fa il ‘maestro’, cioè insegna la bibbia ai bambini di una cittadina della Volinia russa e ai propri figli: «migliaia e migliaia di ebrei prima di lui avevano vissuto e insegnato nello stesso modo». La sua vita scorre quietamente, «fra magre sponde», ma chiusa in un ordine intatto, fino alla nascita del quarto figlio, Menuchim, che è minorato. Da allora in poi, se «tutto ciò che è improvviso è male», come dice Mendel Singer, molti mali cominciano a sfrecciare sulla sua vita. Dovrà abbandonare la sua terra per andare a New York, in un mondo che gli è totalmente estraneo, e la moglie – ancora una volta un memorabile personaggio femminile –, la figlia e i figli saranno uno dopo l’altro toccati dalla guerra, dalla morte, dalla pazzia. Via via che sprofonda nella solitudine e nella disperazione, il Giobbe di Roth, quest’uomo comune che aveva seguìto nella sua vita l’ordine dei padri senza quasi riflettere, si staglia sempre più grandioso: dopo aver «visto andare in rovina un paio di mondi», si trova sul punto di bruciare i suoi libri sacri perché vuole «bruciare Dio» – e in quel momento raggiunge un’intensità e una essenzialità che sembrano negate per sempre ai consolatori che gli si affannano intorno. Ora soltanto, Mendel diventa veramente un «uomo semplice»: più la vita lo spoglia e lo sradica da tutto, più egli appare fermo, con lo sguardo lucido e una forza segreta di resistenza che gli impediscono di crollare. Una sotterranea corrente vitale lo lega al figlio che era stato dato per perduto: il loro insperato e miracoloso incontro, alla fine, è il ricongiungersi di queste due correnti che hanno continuato a scorrere fra le rovine della morte e dell’esilio, riapparendo sempre, testardamente, come unica risposta agli enigmatici colpi della sventura. Tutto il sapore, l’immenso «pathos», l’antica saggezza e l’indistruttibile forza vitale di una grande civiltà, sempre minacciata e condannata alla dispersione, sembrano concentrarsi nel profondo sonno finale di Mendel Singer, carico del «peso della felicità e della grandezza dei miracoli».
Il confronto
M. F. : il problema del
male è centrale in tutte le religioni poichè non riusciamo a
concepire che il giusto soffra. Lo scrittore trasporta la vicenda di
Giobbe, narrata nella Bibbia, in un racconto realistico, legato al
momento storico in cui egli vive. La comunità degli ebrei in Russia,
pur vivendo in povertà, è inserita in un mondo con regole
precise, legate alla religione e alla cultura. Quando Mendel va in
America si trova in un quartiere comunque misero ma anche estraneo alla sua tradizione, dalla quale traeva sicurezza. Ora è
preso da un senso di estraneità e non capisce cosa gli succede. Egli
è tentato di liberarsi dai principi che lo hanno sempre accompagnato
ma se perde la fede non sa reagire alle avversità della vita. Né
lui né la moglie, quando vivevano nel loro paese, non hanno
ottenuto nulla con le loro preghiere ma potevano contare su un
universo conosciuto, seppur misero, nel quale erano partecipi. Mendel
era un uomo mistico, quando recitava i suoi salmi era sereno.
P.B.: per capire il
personaggio di Mendel bisogna rapportarlo alla moglie, la quale ha
una fede diversa, non aspetta che qualcosa venga dall'alto, ma
reagisce alle avversità. Significativa è la frase di sua moglie
Deborah:”Aiutati che Dio ti aiuta. Così sta scritto, Mendel! Tu
sai sempre a memoria i versetti sbagliati. Molte migliaia di versetti
sono stati scritti, quelli inutili li tieni tutti a mente! Sei
diventato così stolto perché insegni ai bambini! Tu dai a loro il
tuo po' d'intelligenza e loro ti lasciano tutta la loro stupidaggine.
Un maestro sei, Mendel, un maestro!”
L. F. : nella scuola di
Mendel lo studio della religione si fondava sulla memorizzazione e
sulla ripetizione dei testi sacri. Roth invece è uno spirito
eccezionale, è fuori da tutti gli schemi degli scrittori ebrei. Era
apertissimo a tutte le culture. Risente
del crollo dell'impero Austro-Ungarico poiché fu l'ambiente
mitteleuropeo a produrre le eccellenze culturali che ancora
riconosciamo.
La figura chiave del
romanzo è quella femminile: Deborah è forte, non si arrende, si da
da fare perchè vuole avere una speranza. Mendel è un po' apatico:
alla fine della sua vicenda dice di aver patito le pene dell'inferno
e rapporta Dio al demonio: “il diavolo poiché non è cosi potente
come Dio, è meno crudele”. Emerge quindi l'eterno conflitto fra
la scienza e la religione.
La vita anche qui è
strana: i genitori riescono a far andare il figlio in America per
evitargli di partire per la guerra in Russia. Il figlio riesce a
trovare in terra straniera la sua strada e la sua identità, al punto di sentire il
paese ospitante come sua patria, arruolarsi e per l'America morire.
G. M.: il messaggio
che ho colto forte e chiaro è che la fede, per chi ce l'ha, alla
resa dei conti porta del bene, ma non ci si può basare solo su
quella. E' vero che a Mendel va tutto storto però quello che gli
succede, in parte, se l'è voluto. Infatti il suo ultimogenito
avrebbe potuto essere curato. Ritengo che la figlia si sia ammalata
di sifilide in quanto era una ninfomane. Mendel non poteva accettare
il comportamento disinibito di quest'ultima ma tuttavia non le ha
detto nemmeno una parola. Non fa niente per evitare che i due figli
partano per la guerra: la madre invece cerca di salvarne almeno uno.
Alla fine senza più la fede gli rimane solo la rabbia.
M. T.: mi ha sconvolto
il fatto che la madre Deborah abbia abbandonato il suo piccolo
Menuchim
nonostante il rabbino le
avesse garantito che sarebbe guarito.
M.S.: Deborah in
America ha ricominciato a vivere, ma non avrebbe dovuto andare via
dalla Russia e soprattutto abbandonare il proprio figlio malato. Il
finale è in grazia di Dio. Mendel ne avrà anche passate tante ma ha
avuto una grande ricompensa : è morto dopo aver ritrovato il figlio
che aveva abbandonato, rinfrancato dalla speranza di una guarigione
della figlia ricoverata e dal possibile ritorno dalla guerra. dell'
altro figlio. Mendel mi ha dato l'impressione di essere una di quelle
persone sempre pronte a piangersi addosso. Vede la fortuna degli
altri e si lamenta per la sua sfortuna. Intanto aspetta che il frutto
gli cada dall'alto. Non puoi incolpare dio se non ti da e
glorificarlo quando ti da!
R.R. : Mendel si
lasciava vivere, accettava quello che gli veniva dal Signore.
C.D: : il rapporto
fra marito e moglie è molto superficiale. E' un amore ben flebile
quello tra Mendel e Deborah. Mendel, quando la moglie invecchia, non
la desidera più e, poiché è diventata brutta, la detesta: un uomo
di fede non dovrebbe arrivare a tanto. Esaurita la passione fisica
dovrebbe essere capace dell' amore spirtuale. E' la storia di un uomo
semplice che vive in un mondo complicato dall'ignoranza e da un credo
religioso ottuso. E' una persona che non sa o non vuole prendere
decisioni e pertanto si affida alla provvidenza.
S. : mi sono
rimaste impresse due immagini: la prima in Russia quando Mendel
camminava svelto per la via nel suo caffettano dalle falde che
svolazzando battevano sui gambali; la seconda immagine è in
America con lo stesso caffettano gli cadeva rigido sul corpo. Sono l'emblema della sua condizione. In ogni
modo il misticismo di Mendel mi lascia un pò perplessa.
E. N.: la componente
religiosa non mi appartiene e per questo ho fatto fatica a leggerlo.
I personaggi della vicenda, soprattutto Mendel, si aspettavano che
tutto piovesse dal cielo. E' stata una fortuna per il piccolo Menuchim
essere lasciato alla giovane coppia, che lo ha accudito meglio della propria famiglia, permettendogli di diventare un grande musicista.
Nessun commento:
Posta un commento