MERCOLEDI 22 GIUGNO
alle ore 20,30
nella sede della biblioteca
e confrontati sulla lettura del libro
La porta di Magda Szabò
Einaudi
Trama (da IBS): Due donne che tutto separa, due vite diverse
che si scontrano. Magda Szabò descrive la strana relazione che per
vent'anni è intercorsa tra lei e la sua donna di servizio. Una donna
ruvida, senza età, con i suoi principi e bizzarrie, riservata, e con dei
segreti nascosti gelosamente dietro la "porta" eternamente chiusa. Se
tra il marito di Magda e la donna c'è subito simpatia, viceversa tra le
due donne la relazione è imprevedibile, fatta di litigi,
riconciliazioni, di non detto. Poco a poco il loro rapporto si distende,
Emerence si vota alla narratrice, il loro legame diventa esclusivo,
esigente...
Recensione de L'INDICE dei libri del Mese: Proprio su quella porta che dà il titolo al
romanzo, sull'impossibilità di aprirla e varcarla e, insomma, di
soccorrere la persona malata che non vuole essere soccorsa, si apre e si
chiude circolarmente il romanzo di Magda Szabó. Un sogno ricorrente
della protagonista, un inutile sogno perché non si può più mutare
l'irrimediabile che è accaduto, la morte di quella persona, ma anche la
violazione del suo mondo tenuto al riparo dalla violenza della vita,
insieme ai tanti gatti raccolti dalla strada.
Qualcosa di trasognato ha anche la prosa con cui Magda Szabó, nata in Ungheria nel 1917, sdoganata in Occidente da Hermann Hesse, a detta di molti la più grande scrittrice ungherese contemporanea, costruisce il suo racconto intorno alla figura di Emerenc Szeredás, la donna delle pulizie con la quale intesse un rapporto all'apparenza scorbutico, ma di profondo affetto. L'autrice, va avanti e indietro nel tempo, ricomponendo le tessere del mosaico della vita misteriosa di Emerenc, ma, anche, tirando le fila della storia del proprio paese dagli anni sessanta. È il tempo del regime sostenuto dai sovietici al quale Szabó non ha mai aderito, ma lo sguardo arretra anche alla realtà della guerra, del nazismo e della persecuzione degli ebrei, fino all'infanzia di Emerenc. Gli anni della dittatura emergono però in filigrana, e la sola opposizione è quella anarcoide della domestica che negativamente bolla come intellettuali tutti coloro che non fanno un lavoro manuale, dai vecchi signori di una volta ai nuovi plutocrati socialisti, passando dai suoi stessi datori di lavoro: la scrittrice e il marito. "Agli occhi di Emerenc erano sospetti tutti i fogli di carta, tutte le scrivanie, tutte le brochure, tutti i libri, non conosceva Marx e non leggeva niente, nemmeno i giornali, credo che avesse provato a disprezzare anche noi, considerandoci irrimediabilmente pelandroni, ma una volta varcata la soglia di casa nostra, sentendo dentro di sé qualcosa che attenuava l'istintiva antipatia, prima rimase scossa, poi, evidentemente si convinse che la macchina da scrivere sulla quale battevamo i tasti era uno strumento di lavoro, e qualcosa di rispettabile c'era anche nel nostro modo di guadagnarci il pane".
Quest'altra porta che sembra dividere i due mondi lascia aperto uno spiraglio e la possibilità di uno scambio intenso fra le due donne. "Mentre gli anni passavano, il nostro legame si cementò. Emerenc era parte di noi, naturalmente entro i limiti che fissava lei". A cominciare dal contratto di lavoro, dagli orari e dalle modalità: è la donna di servizio a dare disposizioni e a dettare condizioni; un nonnulla può irritarla e farla scomparire per giorni. Ma anche si affeziona, alla famiglia e al suo cane. E col suo fazzoletto in testa, Emerenc lavora forsennatamente e soccorre con gli immancabili "piatti dell'amicizia" chiunque abbia bisogno, diventando una vera personalità di quel quartiere di Budapest. Ammalatasi, mentre la scrittrice sta diventando una celebrità, Emerenc morirà tra gli escrementi suoi e dei suoi animali. È la fine di un microcosmo del quale non rimane nulla, come dei mobili preziosi raccolti in casa, celati dietro un'altra porta ancora, e che, alla luce per la prima volta, finiscono in polvere: "Intorno a me, all'improvviso, tutto si trasformò in un'allucinazione kafkiana, in una scena da film dell'orrore. La consolle crollò, ma la cosa non accadde con brutale velocità. Iniziò a sfaldarsi lentamente, con grazia, finché si dissolse in un cumulo di segatura dorata, le figurine di porcellana e l'orologio caddero a terra, il tavolo, la cornice dello specchio, il cassetto, le gambe, tutto semplicemente nel nulla, ogni cosa finì in polvere". Così come avviene anche della società ungherese. Ma al suo funerale Emerenc compie - a dispetto delle sue parole blasfeme sulla fede - l'ennesimo miracolo, perché lì si raccolgono il medico protestante, il tintore ebreo, il professore cattolico in una sorta di "requiem ecumenico".
Non tutti gli sforzi sono stati "vani", se ora Szabó ci restituisce in questo romanzo il mondo di Emerenc, il mistero della sua casa e quindi della sua vita tribolata della quale, solo a lei, era stata data la chiave. Un libro - La porta - che da noi è solo la punta di un iceberg: Szabó, oggi ottantottenne, ha scritto infatti una quarantina di romanzi, oltre a teatro, saggi, sceneggiature, molte cose consegnate al cassetto al tempo del regime. In Italia negli anni sessanta è uscito per Feltrinelli L'altra Ester con copertina di Bruno Munari e ora, nelle edizioni Anfora, è disponibile un libro per ragazzi.
Qualcosa di trasognato ha anche la prosa con cui Magda Szabó, nata in Ungheria nel 1917, sdoganata in Occidente da Hermann Hesse, a detta di molti la più grande scrittrice ungherese contemporanea, costruisce il suo racconto intorno alla figura di Emerenc Szeredás, la donna delle pulizie con la quale intesse un rapporto all'apparenza scorbutico, ma di profondo affetto. L'autrice, va avanti e indietro nel tempo, ricomponendo le tessere del mosaico della vita misteriosa di Emerenc, ma, anche, tirando le fila della storia del proprio paese dagli anni sessanta. È il tempo del regime sostenuto dai sovietici al quale Szabó non ha mai aderito, ma lo sguardo arretra anche alla realtà della guerra, del nazismo e della persecuzione degli ebrei, fino all'infanzia di Emerenc. Gli anni della dittatura emergono però in filigrana, e la sola opposizione è quella anarcoide della domestica che negativamente bolla come intellettuali tutti coloro che non fanno un lavoro manuale, dai vecchi signori di una volta ai nuovi plutocrati socialisti, passando dai suoi stessi datori di lavoro: la scrittrice e il marito. "Agli occhi di Emerenc erano sospetti tutti i fogli di carta, tutte le scrivanie, tutte le brochure, tutti i libri, non conosceva Marx e non leggeva niente, nemmeno i giornali, credo che avesse provato a disprezzare anche noi, considerandoci irrimediabilmente pelandroni, ma una volta varcata la soglia di casa nostra, sentendo dentro di sé qualcosa che attenuava l'istintiva antipatia, prima rimase scossa, poi, evidentemente si convinse che la macchina da scrivere sulla quale battevamo i tasti era uno strumento di lavoro, e qualcosa di rispettabile c'era anche nel nostro modo di guadagnarci il pane".
Quest'altra porta che sembra dividere i due mondi lascia aperto uno spiraglio e la possibilità di uno scambio intenso fra le due donne. "Mentre gli anni passavano, il nostro legame si cementò. Emerenc era parte di noi, naturalmente entro i limiti che fissava lei". A cominciare dal contratto di lavoro, dagli orari e dalle modalità: è la donna di servizio a dare disposizioni e a dettare condizioni; un nonnulla può irritarla e farla scomparire per giorni. Ma anche si affeziona, alla famiglia e al suo cane. E col suo fazzoletto in testa, Emerenc lavora forsennatamente e soccorre con gli immancabili "piatti dell'amicizia" chiunque abbia bisogno, diventando una vera personalità di quel quartiere di Budapest. Ammalatasi, mentre la scrittrice sta diventando una celebrità, Emerenc morirà tra gli escrementi suoi e dei suoi animali. È la fine di un microcosmo del quale non rimane nulla, come dei mobili preziosi raccolti in casa, celati dietro un'altra porta ancora, e che, alla luce per la prima volta, finiscono in polvere: "Intorno a me, all'improvviso, tutto si trasformò in un'allucinazione kafkiana, in una scena da film dell'orrore. La consolle crollò, ma la cosa non accadde con brutale velocità. Iniziò a sfaldarsi lentamente, con grazia, finché si dissolse in un cumulo di segatura dorata, le figurine di porcellana e l'orologio caddero a terra, il tavolo, la cornice dello specchio, il cassetto, le gambe, tutto semplicemente nel nulla, ogni cosa finì in polvere". Così come avviene anche della società ungherese. Ma al suo funerale Emerenc compie - a dispetto delle sue parole blasfeme sulla fede - l'ennesimo miracolo, perché lì si raccolgono il medico protestante, il tintore ebreo, il professore cattolico in una sorta di "requiem ecumenico".
Non tutti gli sforzi sono stati "vani", se ora Szabó ci restituisce in questo romanzo il mondo di Emerenc, il mistero della sua casa e quindi della sua vita tribolata della quale, solo a lei, era stata data la chiave. Un libro - La porta - che da noi è solo la punta di un iceberg: Szabó, oggi ottantottenne, ha scritto infatti una quarantina di romanzi, oltre a teatro, saggi, sceneggiature, molte cose consegnate al cassetto al tempo del regime. In Italia negli anni sessanta è uscito per Feltrinelli L'altra Ester con copertina di Bruno Munari e ora, nelle edizioni Anfora, è disponibile un libro per ragazzi.
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