"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

martedì 26 marzo 2013

L'amore fatale di Ian McEwan

Trama (da IBS): 
Un pallone aerostatico plana su un prato verdissimo tra Oxford e Londra. Un uomo anziano cerca di scenderne, ma rimane goffamente impigliato in una fune. Dai quattro angoli del prato corrono verso il pallone imbizzarrito alcuni soccorritori che tenteranno senza successo di trattenerlo. Uno di loro morirà e agli altri resterà il compito impossibile di farsi una ragione di quella tragedia inutile. In particolare, Joe Rose si troverà invischiato in una storia di ossessione amorosa assurda e grottesca, perseguitato da un altro dei soccorritori, Jed Parry, un giovane che, avendo vissuto insieme a lui quell'avventura terribile, si è convinto di doverlo amare e di doverne essere riamato.

La recensione de L'Indice
Recensione de L'indice

recensione di Rognoni, F., L'Indice 1997, n.11

Benché l'amore di cui tratta quest'ultimo romanzo di Ian McEwan sia anche senza dubbio "fatale", il titolo originale, "Enduring Love", porta in tutt'altra direzione. Quella di un sentimento possente ma nient'affatto distruttivo, paziente, che resiste ("endures") al tempo e a ogni tribolazione; e con connotazioni semmai bibliche (Giobbe), piuttosto che elleniche (il fato), quindi romantiche, decadenti, e infine smaccatamente cinematografiche (come in "Attrazione fatale" e nel più opaco "Passione fatale").
Ciò detto (e precisato anche che una traduzione letterale, e altrettanto efficace, probabilmente è impossibile), mi sembra che lo schietto titolo italiano funzioni comunque benissimo: anzi, forse sia addirittura più appropriato del titolo originale, che certo è più bello e ambizioso. Ma anche, temo, assai pretenzioso: troppo impegnativo - ironico e al tempo stesso profondamente "morale" - per una vicenda che vivacchia del proprio intreccio, e tutto il resto che tira in ballo (ed è moltissimo: da Milton e Keats al neodarwinismo, da Lewis Carroll alla nevrosi delle coppie senza figli, al triste e comico tramonto della cultura hippy, ecc.) è soprattutto zavorra.
Appunto quella (la zavorra) che manca al pallone aerostatico della smagliante, e decisamente "fatale", scena iniziale. Cinque uomini vi si aggrappano per trattenerlo a terra, e salvare il ragazzino intrappolato dentro: ma il vento è troppo forte, il pallone si solleva e, uno dopo l'altro, i soccorritori sono costretti a mollare la presa - tutti tranne l'eroico (?) John Logan, che resiste inutilmente finché non è troppo tardi, e in pochi secondo appare come "un rigido bastoncino nero" contro il cielo. "Non ho mai visto una cosa più atroce di quell'uomo che precipitava", commenta Joe Rose, le cui disgrazie sono ancora tutte da cominciare.
E infatti, da qui in poi la storia è quella dell'amore assoluto che Jed Parry, un altro dei soccorritori superstiti, fanatico religioso e visibilmente folle (la diagnosi finale sarà di un'astrusa "sindrome di de Clérambault"), si convince di "ricambiare" per il detto Joe Rose. Il quale, poveraccio, che non è più "gay" di tanti eterosessuali felicemente sposati (cioè forse un filino, e molto molto latentemente), di punto in bianco si ritrova perseguitato da un innamorato tanto dolce quanto implacabile: che lo chiama a notte fonda, gli si piazza davanti a casa, lo sommerge di lettere appassionate di pagine e pagine (e dire che Clarissa, la bella moglie di Joe, studiosa di poesia romantica, darebbe l'anima per scoprire una letterina inedita di Keats all'amata Fanny Branwe...!). Ma Jed è anche astuto e fortunato, e riesce a "isolare" Joe, cioè a sconvolgergli l'esistenza senza che gli altri abbiano il tempo di simpatizzare con lui: la stessa Clarissa, esasperata dalle ossessioni del marito, fa le valige e si trasferisce a casa del fratello (anche lui fresco di separazione), mentre la polizia non ha i motivi né la volontà di intervenire, e si limita a consigliare del Prozac (a Rose, non al matto!). Così che al pacifico Joe non resta che procurarsi una pistola... e meno male che avrà il coraggio di usarla, altrimenti il frangente si sarebbe risolto con molto più sangue di quello che sarà effettivamente versato.
Ci sono almeno altri due colpi di scena dopo la sparatoria (che è dove le storie di "attrazioni fatali" di solito si concludono al cinema), e il romanzo si guadagna un suo sobrio "happy end" per tutti (Jed incluso), l'amore che dura, che resiste, trionfando su quello "fatale" e distruttivo: anche se l'implicazione - a questo punto inevitabile - è che, in amore, fra patologia e normalità, follia e salute, non c'è nessuna vera soluzione di continuità. Così che se, ora della fine, il sacrificio di John Logan (l'uomo che era restato attaccato al pallone) acquista un significato luminoso, anche il delirio di Jed - il terribile solipsismo di quel suo riflessivo "bisogno di abbracciar"mi"" - appare autenticamente liberatorio. E non solo: quasi la "condizione" dei veri abbracci - gli abbracci "a due" (o "a tre" ecc., se dalla coppia si passa alla famiglia) - della gente normale.
È possibile che io sia ingeneroso con questo romanzo di uno scrittore che m'ha sempre interessato, e al quale sono convinto che si debbano alcune delle pagine più belle della letteratura inglese contemporanea, e almeno un piccolo capolavoro ("Il giardino di cemento", Einaudi, 1980, ed. orig. 1978). Ma nell'"Amore fatale" riesco a trovare solo quello che nella scrittura di McEwan mi irrita: la macchinosità, il congegno "troppo" perfettamente oliato, e il compiacimento di chi lo fa funzionare. Tutto mi sembra costruito a tavolino, "voluto", e la ricerca d'ogni singolo effetto e dell'effetto globale è così preoccupata che, inevitabilmente, appare sempre in filigrana; anzi spesso cancella l'immagine rappresentata, come per un eccesso di visibilità - a differenza di "Lettera a Berlino" (Einaudi, 1990, ed. orig. 1989)," L'amore fatale" probabilmente ci guadagnerà sullo schermo. Per non dire dell'opposizione schematica di freddo razionalismo (Joe è un divulgatore scientifico) e primato dell'emozione e della fantasia (Clarissa, l'esperta di Keats), e del suo prevedibile capovolgimento: ma uno stereotipo rovesciato non cambia natura, solo resta a gambe all'aria...!
Sembra che Keats abbia affermato che Newton aveva distrutto la poesia dell'arcobaleno "riducendolo a un prisma colorato"; e qui Joe ha buon gioco a smentirlo dimostrandoci quanto possa essere "poetica" la descrizione "scientifica" di un fiume come un immenso scivolo sinuoso, su cui si rovesciano miliardi e miliardi di luccicanti H2O (p. 257). Ma Keats diceva anche di odiare "la poesia che ha un disegno palpabile su di noi - e se non siamo d'accordo sembra mettersi le mani nella tasca dei calzoni" (lettera a John Reynolds del 18 febbraio 1818), ed è per questa ragione, non perché riscatta la visionarietà della scienza, che - sospetto - "L'amore fatale" non sarebbe piaciuto neppure all'autore della "Belle dame sans merci".

Il confronto
L: Il libro non mi è piaciuto molto e non mi sono sentiva molto coinvolta dalla storia. Il protagonista maschile, Joe Rose, è un po’ paranoico, mentre l’uomo di lui follemente innamorato, Jed Parry, è uno squilibrato. Non sono riuscita a comprendere le numerose descrizioni sull’amore in cui l’amore individuale viene paragonato all’amore divino. Dal titolo mi sarei aspettata un amore unico, folle: una passione alla Romeo e Giulietta.
L: McEwan doveva fare il fisico e non lo scrittore: a mio giudizio, non ha un gran talento per la scrittura. Tutta la vicenda ruota attorno al tentativo di un pazzo di convertire Joe all’amore per Cristo. Non è un’attrazione fisica, un amore omosessuale, ma un tentativo malsano di condurre una persona verso l’amore trascendente della fede.
P: Questo libro mi è piaciuto molto per la sua originalità. Mi sono appassionata alla dinamica del rapporto sentimentale di Clarissa e Joe, una passione forte messa a rischio e spezzata dalla perversione di Jed. Clarissa è una donna molto moderna che sa prendere i suoi spazi, mostrando carattere e determinazione. Mi è piaciuto il modo in cui è scritto questo romanzo: molte pagine, infatti, mi hanno incantata, in particolare quelle in cui viene descritta la casa della vedova. Il tema costante è l’incomunicabilità fra le persone: descrive molto bene, infatti, la fatica di comprendere l’altro e di gestire un rapporto di coppia minato da una terza persona. Clarissa, ad un certo punto, lo crede pazzo e pensa che Joe sia vittima delle proprie ossessioni.
M: il libro mi è piaciuto molto, tanto che è stato uno stimolo per leggere altri suoi romanzi. Mc Ewan scrive divinamente, con una precisione calibrata e attenta ai dettagli, si percepisce una solida conoscenza letteraria alle spalle. L’amore tradizionale è messo a confronto con l’amore patologico: Jae attua un’implacabile persecuzione amorosa, finendo nel fanatico- religioso. Quest’uomo è affetto da un raro disturbo mentale, la "sindrome di de Clérambault", che lo porta a credersi ricambiato nonostante tutte le evidenze. Il tema affrontato dall’autore è molto moderno. Infatti, anche nella nostra società si assiste a passioni perverse che portano a fini violente.
M: mi è piaciuto molto. L’incontro iniziale tra i due uomini non è banale, ma racchiude una complessità svelata progressivamente dalla lettura: l’episodio della mongolfiera, con le sue conseguenze tragiche, è galeotto d’amore. E’ incredibile notare l’indifferenza della gente. Infatti, quando entrano due persone mascherate nel ristorante nessuno reagisce e prende posizione.
G: l’inizio mi è piaciuto e, nel complesso, il libro mi ha coinvolto molto. Non mi sono appassionata al personaggio di Clarissa perché non ha sostenuto il compagno, credendolo un pazzo visionario. Lei era attenta ad altro, voleva fare carriera, crescere culturalmente. Il rapporto con Joe sembra essere solo un riempitivo. Le autorità e la polizia sono descritte come entità inefficienti e menefreghiste: se non ci scappa il morto nessuno si interessa.
C: Clarissa forse aveva percepito qualcosa di ambiguo nel suo compagno. L’autore crea una spaccatura tra amore sano e amore malato. Speso l’innamoramento ti spinge a fare gesti che non sono ragionevoli, ma quando sfociano nella violenza l’amore diviene patologia.
M: Parry, secondo me, è un omosessuale. Il fatto che si appigli alla religione rappresenta soltanto un palliativo, una giustificazione per dare un senso al suo amore.

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