in diretta da Dublino,
la scrittrice Catherine Dunne
[Il testo che segue, cui è premessa la presentazione dell’evento, dovuta a Cristina, trascrive e traduce fedelmente, a parte qualche piccolo ritocco, la videoconversazione del gdl di Castel Mella con la scrittrice irlandese Catherine Dunne, tenuta nella biblioteca comunale nella serata di martedì 13 marzo 2012.
Vi sono compresi tutti gli interventi, e anche qualche frase fuori contesto, a volte un po’ sgrammaticata.
Data l’abbondanza del materiale a disposizione, avrei potuto strutturare il testo come una tipica “intervista all’autore”, con una serie di domande impersonali e di risposte rivedute e corrette.
Ho invece preferito mantenerlo, per quanto mi è stato possibile, in una forma colloquiale o, per dir così,“live”, poiché mi è sembrato che soltanto in questo modo esso riuscisse a catturare per intero l’atmosfera della serata.
Oltre a Catherine Dunne per l’incredibile disponibilità, a Cristina per la perfetta organizzazione, e a tutti gli intervenuti, desidererei ringraziare Rosario e Graziano per l’assistenza tecnica e Isabel per l’inappuntabile traduzione in tempo reale dall’inglese all’italiano.
M.C.]
Presentazione dell’evento
(a cura di Cristina)
Il Gruppo di lettura della biblioteca di Castel Mella è costituito da circa una ventina di persone che hanno in comune un interesse: la lettura, e un bisogno: il confronto. Il momento della lettura resta individuale, intimo e personale; collettivo è invece il momento della condivisione con gli altri di quanto è emerso in ciascuno durante la lettura.
Dal 2008, anno di inizio della nostra attività, abbiamo intrapreso un percorso, di letture e di incontri, vissuti con grande intensità e significato, nel quale il gruppo è cresciuto e maturato. Ma ogniqualvolta che ci è stata data la possibilità di incontrare gli autori delle opere lette, allora, qualsiasi sia stato il gradimento delle stesse, abbiamo avvertito davvero un senso immediato di trasformazione, e siamo usciti dall’incontro molto più ricchi e molto più consapevoli.
Voglio ringraziare subito Michele, che ha speso tempo, impegno ed energie, per offrirci questa occasione, che sappiamo già essere una tappa importante per tutti noi, e Catherine Dunne, per la disponibilità che ci sta dimostrando, che la qualifica prima come persona che come scrittrice.
La scrittrice del resto è talmente conosciuta e riconosciuta che non ha bisogno di presentazioni.
Inoltre so che il gruppo è molto preparato, anche più di me.
Non voglio sprecare tempo, che questa sera è più che mai prezioso. Ma una cosa mi sento di dire.
Nelle nostre letture abbiamo incontrato l’amore passionale e impetuoso, che rompe ogni schema e convenzione, che avverti subito nelle viscere, come quello descritto in “Mio amato Frank” di Nancy Horan o ne “Le braci” di Sandor Marai. Abbiamo incontrato l’amore taciuto, reticente di “Rossovermiglio” di Benedetta Cibrario, che si coglie con l’intelletto e che costituisce prima di tutto un’esperienza della mente.
Di Catherine Dunne hanno detto che arriva immediatamente al cuore delle donne. Condivisibile ma un po’ limitante, come lo sarebbe per noi bibliotecari collocare le sue opere nella narrativa femminile. Esse infatti hanno il pregio, a differenza di alcune autentiche scritture indirizzate alle donne, di raggiungere al cuore anche gli uomini, come abbiamo visto dal loro interesse animoso nel nostro gruppo. E non solo. A volte la sua scrittura provoca dei turbamenti tali che sono le viscere ad avvertirli, talvolta ci tocca al cuore, raggiungendoci nei sentimenti più intimi, ed infine con il suo linguaggio nitido, immediato e universale, la sentiamo puntare diritto alla mente, stimolando pensieri e riflessioni, regalandoci così la sensazione di aver vissuto, non solo vite parallele, ma proprio un po’ di vita in più.
Catherine Dunne, non solo nei romanzi ma anche nei saggi, arriva alla persona, che colloca sempre al centro, tocca ogni sua sfera, e le dona un’esperienza umana completa. A questo, a mio parere, deve la sua meritata fama.
[di Catherine Dunne il gdl di Castel Mella ha letto i romanzi “Se stasera siamo qui” e “La metà di niente”, e i racconti “Cape Town, Johannesburg” (dalla raccolta “Dignità!”) e “Eoin”.]
Trascrizione in italiano
Catherine Dunne. Ciao! Mi vedi bene?
M. Mi senti?
C.D. Perfettamente.
M. Vedi sullo schermo il gruppo dietro di me?
C.D. Sì!
(applauso)
M. Benvenuta! Buona sera e benvenuta al Gruppo di Lettura della Biblioteca comunale di Castel Mella.
C.D. È un vero piacere essere con voi.
M. Prima di tutto vorrei ringraziarti per avere accettato il nostro invito. Sei stata gentilissima. Ho visto che oggi hai messo sulla tua pagina di Facebook il link al nostro gruppo.
C.D. Sì.
M. Grazie anche per questo. Ne siamo felici e non vediamo l’ora di ascoltare quanto vorrai dirci. Solo, prima di iniziare, vorrei presentarti la bibliotecaria.
(a Cristina) Fa’ un saluto a Catherine!
(Cristina saluta)
C.D. Ciao! Come va?
M. Cristina, senza la quale questa conversazione non sarebbe stata possibile. Poiché ci ha messo a disposizione i locali della biblioteca, dove siamo in questo momento. A quest’ora della sera. Per questo dobbiamo essere tutti riconoscenti a Cristina.
C.D. Ottimo lavoro, Cristina!
M. Poi vorrei presentarti Isabel, che è…
I. Ciao, Caterina!
C.D. Ciao!
I. È un piacere incontrarti.
C.D. Anche per me. Come va?
I. Benissimo, grazie. E tu?
C.D. Bene. E tu?
I. Benissimo.
M. Come avrai capito, Isabel è una madrelingua, ed è scozzese, non inglese. Le abbiamo chiesto di aiutarci per la traduzione. Io proverò a porti le domande, e lei poi “impersonerà” la tua voce…
(C.D. sorride divertita)
M. Insomma, Isabel tradurrà in italiano le tue risposte.
C.D. Benissimo.
M. Se mi dài ancora qualche minuto, vorrei introdurre in italiano ai presenti la conversazione. Poi potremo partire. Solo qualche minuto, per favore.
(M. si rivolge ai presenti)
Allora signori, vi presento… Stasera, ragazzi, abbiamo il piacere di avere una scrittrice importante, che è Catherine Dunne, di cui noi abbiamo letto chi due, chi tre, chi quattro testi: Dirò brevissimamente come l’ho conosciuta, a chi non lo sa. L’occasione è stata perché quest’estate io sono stato a Dublino al gruppo degli scrittori irlandesi con un gruppo di amici, quasi tutti scrittori, giornalisti o anche attori. L’ho conosciuta… non vorrei parlare adesso delle sue opere perché tutti le abbiamo conosciute, tutti ce ne siamo fatti un’idea, in realtà. Voglio solo dirvi che (cosa mai vista in altri scrittori) unisce una grande professionalità con una grande simpatia umana. È una persona gentile, gradevole, e anche una brava scrittrice, cosa che non succede normalmente negli scrittori, italiani o stranieri, che io sappia. Italiani non ne ho mai conosciuti così disponibili. Almeno di quelli famosi. Volevo solo finire questa cosa, dicendovi come sarà organizzata la serata. Mi sono messo d’accordo con Catherine per decidere, quindi praticamente è stata lei che ha dettato la scaletta. Una prima cosa sarà l’introduzione, che sto facendo adesso.
Poi io le chiederò di scegliere un argomento a sua scelta nelle domande che le abbiamo mandato, in modo tale che lei possa, con una lunga risposta, prendere insieme quattro o cinque domande. Lei mi ha detto che preferisce far così.
Poi come terzo punto ci sarò io che le farò una domanda a mia scelta.
E poi si spera che le facciate voi. In italiano, in quel caso tradurrò io la domanda, e lei la risposta. Sennò in inglese. Speriamo che abbiate il coraggio, perché sennò facciamo… Quante persone siamo? Diciassette? Diciotto?
Adesso cominciamo. Comincio a chiederle un commento generale…
Cristina. Il ruolo di Isabel sarà quello…
M. Sì, scusa Isabel, sono un po’ nervoso, hai ragione. Il ruolo di Isabel è, come ho detto io, di impersonare Catherine, nel senso di essere la voce di Catherine, di tradurre quello che lei dice. Ok. Quindi possiamo iniziare. Siamo a posto?
(si rivolge a C.D.)
Fra l’altro, Catherine, questa conversazione viene registrata, e useremo la registrazione forse per un articolo o una pubblicazione, ancora non sappiamo bene… se ci darai il permesso…
C.D. Certo. Nessun problema.
M. Bene. Vorrei dunque iniziare non con una domanda ma, come dire, chiedendoti di soffermarti su uno, e o tre… su qualunque degli argomenti contenuti nella lista di domande che ti abbiamo inviato. In modo che tu ci possa parlare liberamente, prendendo spunto da ciò che preferisci. Solo, per favore, di tanto in tanto fa’ una pausa, in modo da dare il tempo a Isabel di tradurre in italiano ciò che dici in inglese. Grazie.
C.D. (sorride) Però, Michele, dovresti avvertirmi quando devo smettere di parlare…
M. Certo, lo farò.
C.D. Ciò che ho fatto è stato scegliere quattro domande fra quelle contenute nella lista che mi avete inviato. questo perché credo che tocchino argomenti che, di solito, i lettori chiedono più spesso a uno scrittore. E anche perché queste quattro domande riguardano tutte il tema generale del processo creativo della scrittura, inteso come creazione dei personaggi e costruzione dell’intera struttura narrativa dei testi.
La prima domanda è stata posta da Marco, Maddalena e Gabriella, che mi hanno chiesto quali sono le fonti di ispirazione di cui mi servo quando scrivo un romanzo. E, in particolare, se utilizzo esperienze reali, cioè autobiografiche, o se uso solamente l’immaginazione. È in effetti una domanda complicata, le risposte possono essere tante. Noto prima di tutto che, in genere, i lettori sono sempre interessanti all’autobiografia dello scrittore. Credo comunque di poter rispondere in due modi, dicendo che per me, e credo per la maggioranza degli scrittori, ogni scrittura è autobiografica e nessuna scrittura lo è. Perché se da un lato è vero che ogni scrittore ha dovuto scrivere sulla base delle proprie esperienze autobiografiche, ciò non implica necessariamente che uno scrittore abbia bisogno di aver vissuto gli eventi descritti in un romanzo. Ciò che è necessario è che lo scrittore abbia empatia con i propri personaggi.
Questa risposta mi porta senza sforzo a rispondere a un’altra domanda, quella posta da Michele, Chiara e Gabriella. È la domanda sui personaggi maschili di “Se stasera siamo qui”. Perché, mi è stato chiesto, gli uomini in questo romanzo sono così orribili, e anche così noiosi? La risposta ha ancora a che fare con l’empatia. Questo libro è stato scritto secondo il punto di vista di alcune ragazze di 18 o 19 anni di età. Per le ragazze di quella generazione, a quell’età, l’intero universo ruotava attorno all’idea dell’amore romantico, e per questo motivo gli uomini che rappresentano questo concetto non possono che essere, a seconda dei casi, o meravigliosi o tragici. O bianco o nero. Da giovani, quando il nostro lato emozionale prevale su tutto il resto, vediamo il mondo in modo estremizzato. È solo quando cresciamo che possiamo vedere le sfumature grigie della vita. Mi viene anche in mente che una delle cose che mi dà maggiore soddisfazione come scrittrice avviene quando un lettore prova antipatia per uno dei miei personaggi, perché a me non importa tanto che ai miei lettori piacciano i miei personaggi quanto che li trovino veri, reali.
Ora vorrei rispondere a un paio di domande di argomento extra-letterario, anche perché, se vorrete, nel corso della conversazione avrete il tempo di farne altre dedicate nello specifico ai romanzi.
La prima domanda, posta da Marco a proposito di “Capetown, Johannesburg” (da “Dignità!”), chiede la ragione per cui io e altri scrittori abbiamo deciso di dare il nostro supporto ai progetti dell’organizzazione internazionale Médecins Sans Frontières (MSF). Vedete, ogni scrittore considera il proprio lavoro in parte distinto dagli altri, cioè individuale e unico. Tuttavia, se io, come scrittrice, ho l’opportunità di usare la mia voce e il mio ruolo per qualcosa che ritengo giusto, sono fiera di poterlo fare. Per questo ho accettato l’invito di andare in Sudafrica e di scrivere di ciò che avrei visto in quel paese. Penso anche che il nostro lavoro di scrittori possa essere utile per l’intero progetto se riesce ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui seri problemi causati al Sudafrica dalla diffusione dell’AIDS e della tubercolosi. Ritengo importantissimo comunicare questo messaggio, anche perché MSF non ha assolutamente censurato ciò che noi scrittori abbiamo detto, siamo stati sempre liberi di osservare, liberi di descrivere.
Infine vorrei rispondere alla domanda di Cristina, la bibliotecaria, che vedo in prima fila. È una domanda interessantissima circa l’aiuto che la scrittura può dare per superare i momenti tragici della vita.
A ciò darei due risposte: per coloro che non sono scrittori professionisti, scrivere privatamente di un trauma subito può servire come una forma di catarsi, per aiutarli a liberarsi e a purificarsi del male subito; ma, per uno scrittore che tratta di questi argomenti, è ancora più importante creare un testo di letteratura, cioè qualcosa che possa essere compreso e che sia tale da toccare le emozioni dei lettori, e tutto ciò con la speranza di aiutarli.
M. Grazie, Catherine, per queste risposte. Anch’io vorrei farti una domanda. Qual è la tua opinione su quelle due strane specie di esseri umani che oggi s’incontrano spesso nella nostra società, i cosiddetti uomini-donna e donne-uomo, cioè gli uomini con atteggiamenti femminili e le donne con atteggiamenti maschili. Ci sono anche in Irlanda?
C.D. Queste due specie sono ovunque. Anch’io le definirei come hai fatto tu. La mia opinione è che siamo tuttora in un momento di transizione. Per secoli i ruoli dei maschi e delle femmine sono stati chiaramente definiti e, normalmente, ciò significava che gli uomini conducevano una vita pubblica e le donne una domestica, con scarsa comunicazione fra le due. Da circa cinquanta-sessanta anni i nostri ruoli non sono più così nettamente separati: le donne, per esempio, sono emerse dalla loro dimensione unicamente domestica per entrare nella vita pubblica ma, sfortunatamente, quando sono entrate nella vita pubblica hanno scoperto che quell’eguaglianza che si sarebbero aspettate di trovare non era lì. Allo stesso modo quegli uomini che desideravano un ruolo diverso da quello tradizionale, che desideravano non essere necessariamente aggressivi, o gli unici che guadagnano, si sono per questo visti considerare e trattare con minore uguaglianza. Anzi, uno delle maggiori questioni che riguarda oggi la gioventù in Irlanda, e che in questi anni è stata oggetto di attenzione e di studio, è proprio la difficoltà che i giovani maschi provano nel definire il loro ruolo. In particolare non riescono più a capire se, all’interno della famiglia, debbano ricoprire il ruolo della figura dominante, del capo, di quello che porta a casa i soldi, particolarmente in questo periodo di disoccupazione galoppante. In definitiva io penso che oggi sia difficilissimo capire quale sia il proprio posto nel mondo, e non ritengo che sia più facile per gli uomini o per le donne; è difficile per tutti.
Penso che questi aspetti vengano fuori dal personaggio di Georgie, una donna che personalmente non amerei troppo, se la incontrassi. Ma il mio lavoro di scrittrice mi porta a comprendere i sentimenti di una donna come lei, e a renderla credibile ai lettori.
Vi faccio un altro esempio: se un giorno decidessi di scrivere un romanzo su un serial killer, cercherei di comprendere ciò che questa persona pensa e ciò che sente, cercherei di capire le sue motivazioni, cercherei di vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Ma il fatto che potrei capire i sentimenti e le motivazioni di una persona così non significa certamente che li approverei, o che mi piacerebbe comportarmi come lei.
Ciò ancora una volta mi ricollega alla domanda iniziale sul rapporto in letteratura fra empatia e autobiografia. In effetti, quando si scrive è molto facile provare empatia per i propri personaggi, e talvolta è bello ricevere da un lettore un complimento come: “Oh! Questo deve proprio essere accaduto a te, perché è così vero!”. Ma effettivamente non mi è mai accaduto; è l’atto di empatia dello scrittore che fa credere al lettore che quel fatto è accaduto veramente. Ciò spiega anche la risposta che posso dare a un’altra delle domande che mi avete inviato, di quale sia, fra le quattro protagoniste di “Se stasera siamo qui”, quella in cui mi identifico. La risposta è: non mi identifico in nessuna, ma faccio parte di ciascuna di esse.
M. Grazie, Catherine. Personalmente avrei ancora migliaia di domande da porti, ma vorrei che anche le persone che sono qui… Ah, vorrei solo aggiungere che, mentre tu parlavi, sono arrivate altre persone. Ora siamo in venti, forse venticinque. Ora vorrei chiedere alla gente che è qui di farti qualche domanda, se lo desiderano…
Marco. Io non so l’inglese, però volevo ringraziarla per avere accettato l’impegno con MSF. Leggere il libro “Dignità!”, che ha scritto insieme agli altri autori, fa sentire i problemi del Sudafrica infinitamente più vivi e reali, e assai più sentiti rispetto al modo in cui sono mostrati dai telegiornali. La vita in quel paese sembra davvero una battaglia. Vorrei soltanto ringraziarla per questo.
C.D. Penso che una delle opportunità più importanti per chi visita un paese sia – rispetto a quello che possiamo capire dalle statistiche e dai numeri – l’impatto che si riceve ascoltando direttamente le storie dalla voce delle singole persone. Penso anzi che uno dei più forti istinti dell’uomo sia la sua tendenza ad ascoltare le storie, poiché ascoltare le storie ci aiuta a dare un senso al caos.
Patrizia. Vorrei fare una domanda sul romanzo “Se stasera siamo qui”. Ho trovato divertente e ironico che, nel finale del libro, nasca una storia d’amore fra Georgie e il figlio di Nora. Ho visto in questo una specie di vendetta sulla povera Nora che, quando lo verrà a sapere, non potrà davvero essere molto felice. Ti chiedo se davvero la tua intenzione sia stata quella di prenderti un po’ gioco di Nora in quel finale. Cioè, magari Nora si sentiva un po’ troppo perfetta in quel momento, e allora…
C.D. Ancora una volta devo rispondere che non c’è mai un’unica ragione per le nostre azioni, anzi ce ne sono molte, alcune delle quali assai complesse. Per esempio Georgie è una donna molto egoista, vuole sempre fare a modo suo. Credo però che si sia innamorata davvero del ragazzo, ma penso anche che, almeno all’inizio, la loro relazione fosse per lei ancora più piccante proprio perché il ragazzo era il figlio di Nora. E poi, effettivamente, negli ultimi anni i casi di donne mature che si mettono insieme a uomini molto più giovani stanno diventando un fenomeno sociale…
P. Bene!
C.D. Penso che una delle opportunità più importanti per chi visita un paese sia – rispetto a quello che possiamo capire dalle statistiche e dai numeri – l’impatto che si riceve ascoltando direttamente le storie dalla voce delle singole persone. Penso anzi che uno dei più forti istinti dell’uomo sia la sua tendenza ad ascoltare le storie, poiché ascoltare le storie ci aiuta a dare un senso al caos.
Patrizia. Vorrei fare una domanda sul romanzo “Se stasera siamo qui”. Ho trovato divertente e ironico che, nel finale del libro, nasca una storia d’amore fra Georgie e il figlio di Nora. Ho visto in questo una specie di vendetta sulla povera Nora che, quando lo verrà a sapere, non potrà davvero essere molto felice. Ti chiedo se davvero la tua intenzione sia stata quella di prenderti un po’ gioco di Nora in quel finale. Cioè, magari Nora si sentiva un po’ troppo perfetta in quel momento, e allora…
C.D. Ancora una volta devo rispondere che non c’è mai un’unica ragione per le nostre azioni, anzi ce ne sono molte, alcune delle quali assai complesse. Per esempio Georgie è una donna molto egoista, vuole sempre fare a modo suo. Credo però che si sia innamorata davvero del ragazzo, ma penso anche che, almeno all’inizio, la loro relazione fosse per lei ancora più piccante proprio perché il ragazzo era il figlio di Nora. E poi, effettivamente, negli ultimi anni i casi di donne mature che si mettono insieme a uomini molto più giovani stanno diventando un fenomeno sociale…
P. Bene!
C.D. Sapete tutti della storia di Demi Moore, l’attrice americana…
P. Però è stata abbandonata adesso…
C.D. Sì, per lei la cosa non ha funzionato, e magari anche per Georgie non funzionerà, ma, fino a quando durerà, si divertirà un sacco.
(risate)
P. Un’altra domanda: hai detto che ti piace descrivere personaggi veri, reali, anche malvagi come, per esempio, un serial killer. Ma, se è così, posso immaginare che ci sia anche della sofferenza quando ti metti nei panni di persone malvagie. Ti rimane davvero addosso qualcosa di loro? Cioè, ti è difficile separare la tua vita di tutti i giorni da quella che vivi mentre stai scrivendo?
C.D. Questa è una domanda molto interessante, davvero acuta. Il mio secondo romanzo, “La moglie che dorme” è stato un libro difficilissimo da scrivere. Ho passato mesi e mesi nella testa di un uomo ammalato, probabilmente vittima di un disturbo mentale. Durante la stesura del romanzo ho dormito malissimo, e ho fatto incubi orrendi. Quando ho terminato, ho capito di aver passato troppo tempo in uno stato emotivo in cui non volevo più stare. Ecco perché, quando ho deciso di scrivere il mio terzo romanzo, “Il viaggio verso casa”, che parla del rapporto fra una madre e una figlia, ho avuto bisogno di dedicare il mio tempo a un tema che fosse salutare, sano e gentile.
Armando. Ciao, Catherine. Parla Armando.
C.D. Ciao, Armando.
A. Avrei un paio di domande, tre se è possibile…
C.D. Certo.
A. La prima. In “Se stasera siamo qui” parli dell’Italia, in particolare della Toscana, in un modo molto romantico. Vorremmo sapere la tua vera opinione sull’Italia e gli italiani.
C.D. Prima di tutto devo confessare che non sono mai stata in Toscana, ma nella stesura di quel romanzo è stato molto importante per me scegliere un luogo che, nell’immaginario degli abitanti del nord Europa, fosse considerato romantico e pieno di bellezza. Posto questo, dovevo anche scegliere un luogo che non avessi mai visitato, per non essere influenzata dal mio personale giudizio. Quanto all’Italia, so che è un paese complesso, come del resto lo è l’Irlanda, ma, al di là di questo, so anche che l’unico modo per capire veramente il prossimo è andare oltre agli stereotipi. D’altronde, dovendo parlare in quel libro della Toscana come sfondo per una storia d’amore, ho dovuto rimanere un po’ nello stereotipo. Ho risposto alla tua domanda?
A. Sì, grazie. Ecco la seconda. C’è uno fra i tuoi libri che preferisci rispetto agli altri? E perché?
C.D. Ah, è come chiedere a una madre quale preferisce fra i suoi figli…
A. Ero sicuro della tua risposta…
C.D. Ciò che veramente penso, e che è importante da dire, è che ogni volta che finisco un libro sento che quello è il mio libro migliore, quello cui mi sento più vicina.
A. Così per te il libro il migliore è sempre l’ultimo che hai scritto?
M. O forse quello che scriverai?
C.D. Sì, penso che sia l’ultimo che ho scritto. Anche perché ritengo che una delle cose più importanti per uno scrittore è che l’ultima cosa scritta sia sempre migliore della precedente. Vorrei anche dire che ritengo il romanzo “La moglie che dorme” uno di quelli di cui sono più orgogliosa. Perciò mi è molto dispiaciuto quando ho visto che è stato sottovalutato, che non è stato apprezzato in molti luoghi, forse per la sua appartenenza al genere delle “dark stories”. Per finire, forse molti dei miei lettori vogliono che continui a scrivere e a riscrivere “La metà di niente”.
A. Bene. Ultima domanda. Quando inizio un libro, cerco di immaginare chi ci sia veramente dietro a ciò che leggo. Dunque, puoi spiegarci Catherine Dunne in poche parole?
M. Wow! Che domanda!
C.D. Tu riusciresti a descriverti in poche parole?
A. No, non ci riuscirei.
C.D. Neppure io. Ciò che posso dire è che le mie passioni sono la scrittura e l’amicizia, e che sento moltissimo l’importanza della famiglia.
Elena. Nel suo momento di difficoltà lei ha incontrato i “mangiatori di dolore” e ha spiegato (vedi il racconto “Eoin”) il modo in cui tali personaggi possono alleviare le sofferenze. Le piacerebbe se i suoi libri potessero essere definiti “mangiatori di dolore”? Quali di essi possono essere considerati tali?
C.D. Molti lettori mi dicono che “Il viaggio verso casa” è stato un “mangiatore di dolore” di grande aiuto, nel momento in cui hanno dovuto affrontare la sofferenza per la morte di un genitore. E che anche del mio ultimo libro, “Tutto per amore”, i lettori hanno parlato come di qualcosa che è servito loro per alleviare il dolore conseguente alle decisioni da prendere, o da comprendere, quando qualcuno che avevano molto amato si toglieva la vita.
M.C. Così davvero tu pensi che la scrittura possa avere delle proprietà terapeutiche per la gente?
C.D. Io penso che sia come quando si va a vedere un quadro, e ci si immerga poi nella sua bellezza; allo stesso modo i lettori si immergono nei libri, quando sono belli. Come scrittrice io ritengo che ciò mi dia la possibilità di instaurare una relazione emotiva con il lettore. Perciò penso che sì, è possibile che un lettore possa trovare conforto, o almeno lo spero.
Maddalena. Qual è la tua definizione di amicizia, e in particolare di amicizia femminile? Mi riferisco alle quattro donne di “Se stasera siamo qui”, poiché ho trovato che non sono poi così amiche…
C.D. Sì, ancora una volta se ci riferiamo all’amicizia come qualcosa che sia perfetta condivisione, perfetta comprensione e perfetto amore, allora no, non sono amiche. Ma l’amicizia è molto complicata. Per me una definizione di amicizia è non giudicare mai e essere completamente affidabili. Ma, ovviamente, io scrivo anche di amicizie non del tutto compiute. In altre parole, per un lettore non c’è interesse se nella storia mancano i conflitti. Cioè, Georgie e Nora, per esempio, personalmente non sono amiche, ma le altre ragazze hanno della comprensione per Nora perché non è elegante, non è sexy, non è al mai centro dell’attenzione… inoltre spesso si vede che, quando un gruppo si forma in gioventù, è poi difficilissimo uscire da abitudini e ruoli consolidati.
Cristina. Tutti noi abbiamo letto e apprezzato i romanzi di Catherine Dunne. Io ti chiedo però un consiglio a proposito di altri libri, di altri autori che ami. Per il nostro gruppo di lettura…
C.D. Bene. Attualmente, nell’ultimo anno, non ho letto libri di narrativa, perché non voglio leggere romanzi di altri mentre sto scrivendo il mio, altrimenti si può diventare un po’ schizofrenici, no? Comunque l’ultimo romanzo veramente buono che ho letto è stato quello di Curtis Settenfeld, una scrittrice americana. Il titolo è “An American Wife”, ed è una rappresentazione letteraria della vita di Laura Bush. È un romanzo, dunque è finzione; ma per me è stato affascinante poter confrontare una finzione letteraria con le mie personali opinioni su fatti realmente accaduti. Certo, non è stata una bella esperienza leggere tutte le sere di George Bush, proprio prima di andare a dormire…
Se mi verrà in mente dell’altro invierò i titoli a Michele.
M. È passata un’ora, Catherine, e tu sei stata molto paziente (C.D. ride) e molto gentile con noi. Non abbiamo altre domande, mi sembra… Ah sì, naturalmente. Io so che molto presto verrai in Italia, probabilmente fra un paio di mesi. Non so se è proprio così, ma penso di sì.
C.D. Sì.
M. Sei invitata qui, a Castel Mella, che è vicino a Verona, per esempio. Non so se conosci il lago di Garda…
C.D. Non ci sono mai stata, sono stata una volta al lago di Como… ma mai al lago di Garda.
M. Beh, è un lago bellissimo. Forse meglio del lago di Como.
C.D. Ne sono certa.
M. Anche noi lo siamo. E così possiamo chiudere la nostra conversazione, Cristina. Possiamo, Cristina? Vuoi davvero? Dal momento che non ci sono altre domande, finiamo dunque questa conversazione, e vogliamo tutti ringraziarti per la pazienza e la gentilezza.
C.D. Grazie di cuore. È stato un piacere incontrarvi.
M. Anche per noi. Dunque i migliori saluti da qui, da Castel Mella, Italia. Speriamo di rivederti in questa biblioteca, ma di persona, non su Skype, di persona.
C.D. Va bene. Farò del mio meglio.
M. Bene. A presto. Buona notte. Grazie.
(applauso)
C.D. Grazie per l’organizzazione, Michele. Ci sentiamo presto, va bene?
M. (Non ho capito bene cosa mi ha detto…). Grazie, Catherine.
C.D. Buona Notte. Buona notte, Cristina. Buona notte a tutti. Grazie. Ciao.
Articolo a cura di Maria Paola F.
Breve premessa
Il testo che segue è liberamente tratto dall’intervista a Catherine Dunne, effettuata martedì 13 marzo 2012 presso la biblioteca comunale di Castel Mella, la cui versione integrale è disponibile on-line al sito: http://gruppodiletturacastelmella.blogspot.it/.
Tengo particolarmente a ringraziare l’autore dell’intervista, Michele Curatolo, che mi ha gentilmente concesso di rielaborare il testo e di pubblicarlo sul nostro magazine, al fine di sensibilizzare noi giovani alla conoscenza di quest’autrice.
Soprattutto, però, ritengo doveroso ricordare la gentile bibliotecaria del mio paese, Cristina Dossi, che si è impegnata per rendere possibile questa importante iniziativa, dandoci la possibilità di usufruire della biblioteca edi un collegamentoskype.Cristina ha, inoltre, proposto al nostro gruppo di lettura una serie di libri di Catherine, propedeutici all’incontro. Dal 2008, infatti, nella sede della biblioteca si riuniscono persone appassionate di libri, desiderose di ritagliarsi,all’interno della frenesia quotidiana, un momento dedicato alla letteratura.
Le domande all’autrice irlandese sono il frutto di un intenso e costante lavoro collettivo, di riflessioni e curiosità varie dei singoli membri del gruppo.
Intervistando Catherine Dunne
Dietro un libro, dietro le emozioni e i turbamenti suscitati dalla lettura, si nasconde sempre un creatore, un genio demiurgo che ha accostato così magnificamente le parole da riuscire a penetrare nell’anima dei lettori. Talvolta si costruiscono grandi aspettative su un autore che spesso vengono tristemente disattese da un reale incontro. Alcuni, infatti, soffrono così tanto di superomismo e manie di grandezza da farti provare un’improvvisa voglia di imprimere su quella guancia imbellettata un sonoro schiaffo.
Catherine Dunne, invece, ha conservato un candore e una semplicità difficilmente reperibili in autori di fama internazionale. È singolare che una scrittrice di successo si presti a dedicare una parte del proprio tempo, senza alcun tipo di remunerazione, a rispondere alle domande e alle curiosità di alcuni suoi lettori.L’affabilità, l’umiltà e la disponibilità di quest’irlandese, sempre sorridente e dal viso un poco lentigginoso, sono glielementi che più ho apprezzato e di cui conservo un vivo ricordo.
Durante l’intervista, l’autrice si è soffermata sull’importanza di una profonda conoscenza dei propri personaggi. È fondamentale riuscire ad immedesimarsi in essi, entrare nel vivo dei loro pensieri, senza aver necessariamentevissuto le situazioni narrate:
Credo che per me, e per la maggioranza degli scrittori, ogni scrittura è autobiografica e nessuna scrittura lo è. Perché se da un lato è vero che ogni scrittore ha dovuto scrivere sulla base delle proprie esperienze autobiografiche, ciò non implica necessariamente che uno scrittore abbia bisogno di aver vissuto gli eventi descritti in un romanzo. Ciò che è necessario è che lo scrittore abbia empatia con i propri personaggi.
È determinante, quindi, assumere il punto di vista del personaggio, capire come esso veda il mondo, per renderlo reale e credibile. Questo spiega anche il motivo per cui nel romanzo Se stasera siamoqui il mondo maschile venga rappresentato in modo tanto odioso e insopportabile. La storia è, infatti, narrata da ragazze adolescenti, ancora possedute dal sogno di un amore romantico e passionale, che categorizzano gli uomini in amanti ideali e perfetti o in creature mostruose e abominevoli:
È la domanda sui personaggi maschili di Se stasera siamo qui. Mi è stato chiesto perché gli uomini in questo romanzo sono così orribili e anche così noiosi. La risposta ha ancora a che fare con l’empatia. Questo libro è stato scritto secondo il punto di vista di alcune ragazze di 18 o 19 anni di età. Per le ragazze di quella generazione, l’intero universo ruotava attorno all’idea dell’amore romantico, e per questo motivo gli uomini che rappresentano questo concetto non possono che essere, a seconda dei casi, o meravigliosi o tragici. O bianco o nero. Da giovani, quando il nostro lato emozionale prevale su tutto il resto, vediamo il mondo in modo estremizzato. È solo quando cresciamo che possiamo vedere le sfumature grigie della vita. Mi viene anche in mente che una delle cose che mi dà maggiore soddisfazione come scrittrice avviene quando un lettore prova antipatia per uno dei miei personaggi, perché a me non importa tanto che ai miei lettori piacciano i miei personaggi quanto che li trovino veri, reali.
Quindi, non è necessario che ogni singola esperienza narrata sia realmente accaduta alla scrittrice, ma è basilare empatizzare con i propri personaggi e con le vicende:
Quando si scrive è molto facile provare empatia per i propri personaggi, e talvolta è bello ricevere da un lettore un complimento come: «Oh! Questo deve proprio essere accaduto a te, perché è così vero!». Ma effettivamente non mi è mai accaduto; è l’atto di empatia dello scrittore che fa credere al lettore che quel fatto è accaduto veramente. Ciò spiega anche la risposta che posso dare a un’altra delle domande che mi avete inviato, di quale sia, fra le quattro protagoniste di Se stasera siamo qui, quella in cui mi identifico. La risposta è: non mi identifico in nessuna, ma faccio parte di ciascuna di esse.
Talvolta l’identificazione può essere così forte e inglobante da convogliare sullo scrittore il peso degli stati emotivi suscitati dalle vicende. Catherine, infatti, spiega lo stato di turbamento e di oppressione provato in concomitanza con la stesura del romanzoLa moglie che dorme. Farrell,il protagonista maschile della vicenda, è, infatti, vittima delle proprie ossessioni, degli spettri del passato, di una passione malata e insana. L’autrice non può esimersi dal sentirsi oppressa dalle stesse emozioni di questo artigiano:
Il mio secondo romanzo, La moglie che dorme, è stato un libro difficilissimo da scrivere. Ho passato mesi e mesi nella testa di un uomo ammalato, probabilmente vittima di un disturbo mentale. Durante la stesura del romanzo ho dormito malissimo, e ho fatto incubi orrendi. Quando ho terminato, ho capito di aver passato troppo tempo in uno stato emotivo in cui non volevo più stare. Ecco perché, quando ho deciso di scrivere il mio terzo romanzo, Il viaggio verso casa, che parla del rapporto fra una madre e una figlia, ho avuto bisogno di dedicare il mio tempo a un tema che fosse salutare, sano e gentile.
Oltre ad aver messo in rilievo l’importanza della fase di costruzione del personaggio, la scrittrice irlandese spiega come il conflitto sia alla base di ogni storia. Ricollegandosi a Se stasera siamo qui, mostra come anche dietro a profonde amicizie siano necessari antagonismi, incomprensioni e scontri per dare maggiore interessante alla vicenda:
L’amicizia è molto complicata. Per me una definizione di amicizia è non giudicare mai e essere completamente affidabili. Ma, ovviamente, io scrivo anche di amicizie non del tutto compiute. In altre parole, per un lettore non c’è interesse se nella storia mancano i conflitti. Cioè, Georgie e Nora, per esempio, personalmente non sono amiche, ma le altre ragazze hanno della comprensione per Nora perché non è elegante, non è sexy, non è al mai centro dell’attenzione… Inoltre spesso si vede che, quando un gruppo si forma in gioventù, è poi difficilissimo uscire da abitudini e ruoli consolidati.
In questo romanzo l’autrice dimostra particolare sensibilità verso una delle più belle regioni d’Italia, la Toscana, destinazione ideale per Georgie, solare ma sicura di sé.Seppur ammetta di non essere mai approdata nella terra fiorentina, giustifica la scelta di questo luogo in virtù del sole, del caldo e della bellezza, in opposizione al clima cupo e piovoso dell’Irlanda, da cui gli italiani, invece, sono molto affascinati:
Prima di tutto devo confessare che non sono mai stata in Toscana, ma nella stesura di quel romanzo è stato molto importante per me scegliere un luogo che, nell’immaginario degli abitanti del nord Europa, fosse considerato romantico e pieno di bellezza. Posto questo, dovevo anche scegliere un luogo che non avessi mai visitato, per non essere influenzata dal mio personale giudizio.
I libri di Catherine sono estremamente attenti alle problematiche sociali, a rapporti familiari fallimentari e rovinosi, ad amicizie femminili intricate e complesse, a donne abbondonate che non perdono mai la speranza,che lottano in cerca di un futuro migliore. Spicca dai suoi romanzi una chiara e realistica rappresentazione psicologica, caratteri che possono esercitare una funzione terapeutica anche sui lettori, infondendo in loro forza e speranza. Personalmente ritendo straordinaria la determinazione e il vigore di Rose, protagonista di La metà di niente, che tradita e abbandonata, con tre figli a carico, riesce a ricostruirsi una vita.
Nei suoi libri, quindi, si va oltre al piacere estetico della lettura, ma ogni storia può esercitare una forte azione terapeutica:
Io penso che sia come quando si va a vedere un quadro, e ci si immerga poi nella sua bellezza; allo stesso modo i lettori si immergono nei libri, quando sono belli. Come scrittrice io ritengo che ciò mi dia la possibilità di instaurare una relazione emotiva con il lettore. Perciò penso che è possibile che un lettore possa trovare conforto, o almeno lo spero.
Come spiega nel commuovente racconto Eoin, dedicato alla morte del proprio figlio, l’autrice è riuscita a superare il dolore per lagrave perdita non solo grazieall’influenza benefica del tempo, ma soprattutto in virtù delle illuminanti parole di un tanatologo, John O’Donoghue, che considera come un suo primo importante mangiatore di dolore. Ricollegandosi all’espressione in lingua Urdu ghum-khaur, spiega come mangiatori di doloreindichi la compartecipazione dell’intera comunità per un lutto. La scrittura stessa ha avuto un valore altamente sublimante, e ha permesso all’autrice di reintegrarsi nella vita.
È fondamentale come molti lettori considerino alcuni suoi libri deimangiatori di dolore, elementi di sostegno e di supporto nei momenti difficili dell’esistenza:
Molti lettori mi dicono che Il viaggio verso casa è stato un “mangiatore di dolore” di grande aiuto, nel momento in cui hanno dovuto affrontare la sofferenza per la morte di un genitore. E che anche del mio ultimo libro, Tutto per amore, i lettori hanno parlato come di qualcosa che è servito loro per alleviare il dolore conseguente alle decisioni da prendere, o da comprendere, quando qualcuno che avevano molto amato si toglieva la vita.
La sensibilità e l’apertura verso i problemi sociali di questa scrittrice irlandese si manifesta chiaramente anchenell’adesione a vari progetti dell’organizzazione umanitaria di Medici Senza Frontiere. Nel libro Dignità si susseguono, infatti, le testimonianze e i racconti di viaggio di nove scrittori, che mettono in luce la povertà, la sofferenza, le malattie dei popoli senza voce. Catherine Dunne inCapetown, Johannesburg ha messo in rilievo la forte problematica presente nel Sudafrica dell’alta mortalità dovuta all’AIDS e alla tubercolosi. Per l’autrice è fondamentale sfruttare la propria figura per sensibilizzare i lettori alle gravi situazione del Terzo Mondo:
Vedete, ogni scrittore considera il proprio lavoro in parte distinto dagli altri, cioè individuale e unico. Tuttavia, se io, come scrittrice, ho l’opportunità di usare la mia voce e il mio ruolo per qualcosa che ritengo giusto, sono fiera di poterlo fare. Per questo ho accettato l’invito di andare in Sudafrica e di scrivere di ciò che avrei visto in quel paese. Penso anche che il nostro lavoro di scrittori possa essere utile per l’intero progetto se riesce ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui seri problemi causati al Sudafrica dalla diffusione dell’AIDS e della tubercolosi. Ritengo importantissimo comunicare questo messaggio, anche perché MSF non ha assolutamente censurato ciò che noi scrittori abbiamo detto, siamo stati sempre liberi di osservare, liberi di descrivere.
È molto emozionante avvicinarsi e conoscere chi si nasconde dietro alle nostre letture, per conservare un ricordo, un piccolo frammento della personalità dello scrittore.
Credo, quindi, che per i partecipanti al gruppo di lettura sia stata un’esperienza unica e sicuramente indimenticabile.
Grazie Cristina.
Grazie Michele.
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