Trama: L'Albania del primo Novecento è un luogo misterioso, magico e caotico.
Un luogo dove gli opposti convivono da sempre: cristianesimo e islam,
tradizioni risalenti all'Impero bizantino come all'Impero ottomano. Ed è
anche, e soprattutto, una società fortemente matriarcale, in cui per il
potere che si acquisisce diventando suocere le donne passano la vita
aspettando con gioia d'invecchiare.
Meliha è una figlia di questo mondo, una donna forte, capace di seguire i vivi e i morti con lo stesso trasporto: è lei il cuore della famiglia Buronja, all'inizio di questa storia.
Ma il vero perno della famiglia e del romanzo diventerà ben presto sua figlia Saba.
Appena quindicenne, Saba è costretta a sposare Omer, un uomo maturo che lei non ama, già vedovo di sua sorella e legato ai Buronja da un debito di sangue. Ma la aspettano ben altre prove, che Saba crescendo - e conquistandoci pagina dopo pagina - attraverserà con disperata energia: i tanti figli, la guerra, lo sterminio dei fratelli, fino alla transizione a una nuova e per lei più felice dimensione di vita: il comunismo. È attraverso le tante vicende che gravitano intorno a Saba e al suo mondo - dai piccoli infiniti rivoli di vita ai grandi rivolgimenti politici che entrano nella quotidianità più intima degli individui e si fanno storie - che il romanzo assume un tono epico indimenticabile, per forza e naturalezza.
Saba è uno di quei personaggi a cui ci si affeziona davvero, che balza dalla carta per farsi vivo, vicino e caro.
Sarà la giovane Dora, figlia della più recente modernità, a raccogliere - saltando una generazione: la generazione del silenzio incarnata da Klementina - l'eredità di nonna Saba, convertendo l'epica in racconto, trasmettendo e rigenerando, con la disinvoltura e la vitalità della gioventù, la memoria di quel mondo ancestrale che non le è mai appartenuto eppure è fino in fondo suo. Lei, sopravvissuta allo sradicamento, è l'erede: perché in una comunità dispersa attraverso la fuga si libera davvero qualcosa, forse la possibilità stessa del dire, in quello spazio muto tra memoria e creazione.
«Nonna Saba faceva il giro del quartiere per farsi leggere i fondi di caffè. Era come un'ecografia: lei prendeva il caffè, girava bene la tazza, metteva giù, ed ecco: più cresceva la pancia di mia madre più sporgeva il mio sesso dai fondi della tazzina.
Mamma portava la pancia e lei portava i fondi di caffè. Erano quasi pari, loro due».
Meliha è una figlia di questo mondo, una donna forte, capace di seguire i vivi e i morti con lo stesso trasporto: è lei il cuore della famiglia Buronja, all'inizio di questa storia.
Ma il vero perno della famiglia e del romanzo diventerà ben presto sua figlia Saba.
Appena quindicenne, Saba è costretta a sposare Omer, un uomo maturo che lei non ama, già vedovo di sua sorella e legato ai Buronja da un debito di sangue. Ma la aspettano ben altre prove, che Saba crescendo - e conquistandoci pagina dopo pagina - attraverserà con disperata energia: i tanti figli, la guerra, lo sterminio dei fratelli, fino alla transizione a una nuova e per lei più felice dimensione di vita: il comunismo. È attraverso le tante vicende che gravitano intorno a Saba e al suo mondo - dai piccoli infiniti rivoli di vita ai grandi rivolgimenti politici che entrano nella quotidianità più intima degli individui e si fanno storie - che il romanzo assume un tono epico indimenticabile, per forza e naturalezza.
Saba è uno di quei personaggi a cui ci si affeziona davvero, che balza dalla carta per farsi vivo, vicino e caro.
Sarà la giovane Dora, figlia della più recente modernità, a raccogliere - saltando una generazione: la generazione del silenzio incarnata da Klementina - l'eredità di nonna Saba, convertendo l'epica in racconto, trasmettendo e rigenerando, con la disinvoltura e la vitalità della gioventù, la memoria di quel mondo ancestrale che non le è mai appartenuto eppure è fino in fondo suo. Lei, sopravvissuta allo sradicamento, è l'erede: perché in una comunità dispersa attraverso la fuga si libera davvero qualcosa, forse la possibilità stessa del dire, in quello spazio muto tra memoria e creazione.
«Nonna Saba faceva il giro del quartiere per farsi leggere i fondi di caffè. Era come un'ecografia: lei prendeva il caffè, girava bene la tazza, metteva giù, ed ecco: più cresceva la pancia di mia madre più sporgeva il mio sesso dai fondi della tazzina.
Mamma portava la pancia e lei portava i fondi di caffè. Erano quasi pari, loro due».
G.B.: ho
riconosciuto in questa scrittrice una grande capacità evocativa, per la quale si serve di un
linguaggio simile a quello cinematografico. Nonostante sia una donna è stata in grado di
fotografare benissimo le immagini senza tropppi coinvolgimenti emotivi. La sua scrittura è fredda e tagliente, quasi volesse mantenersi a distanza. Le donne della famiglia partono ma poi tornano sempre.
L. F.: mi è piaciuto anche perchè è interessante conoscere questi paesi. Nessuno in Italia, prima che iniziassero gli sbarchi, si preoccupava di conoscere gli albanesi. Ho scoperto che è un popolo fiero, che ha sempre tenuto un
comportamento dignitoso: anche sotto il regime comunista sono stati capaci di adattarsiti senza farsene un cruccio. E' un popolo rassegnato che si adatta alle
situazioni. Triste la condizione delle donne, che, come accadeva tanti anni fa da noi, sono una merce di scambio. La nascita
di una femmina, non veniva presa in alcuna considerazione. Capitava che il nome venisse persino dimenticato dal padre: con l'arrivo di un
maschio poi la figlia femmina veniva scordata definitivamente. Saba è la protagonista di
questo romanzo: pur avendo l'aspetto di un uccellino, aveva un carattere molto forte.
Il rapporto con le religioni è eccezionale, incredibile, bellissimo. Saba di
appartenere ad una religione o ad un'altra non se ne faceva un problema; frequentava sia la chiesa ortodossa
che la moschea.
La condizione di vita non cambiava, sia quando a comandare era la religione oppure
il comunismo.
M. F.: lo stile della prima parte, quando c'è la storia
della nonna Meliha, è un po' scarno, quasi da tragedia greca in cui il
destino è già fissato. Il matrimonio è un fatto ineluttabile. Nella seconda parte c'è
una trasformazione imposta dalla fine della IIa guerra mondiale e dalle vicende
politiche. Le donne ora studiano, vanno in città, si
emancipano. Nella narrazione, anche nella prima parte, sono le donne che
risaltano e gli uomini fan la figura dei "gioppini". Sono le donne che raccontano la storia e l' evoluzione di un popolo.
C. D.: la scrittrice ha voluto raccontare la storia delle
donne della sua famiglia. A detta sua non avrebbe comunque scritto il romanzo in
albanese poiché è una lingua troppo
dura ed è stata felice di poter usare l'italiano. Ci sono molti personaggi
e, per non perdersi, bisogna leggerlo tutto d'un fiato. Ed essendo coinvolgente questa modalità diviene naturale. Ci ripropone
l'immagine di un popolo che tutto sommato è molto simile alla nostra cultura, in particolare com'era allora nel sud d'Italia. In alcuni punti è molto poetico. Mi è piaciuto, così come a molti lettori della biblioteca.
O. G.: Quello di cui si narra era un paese isolato e a dimensioni familiari, in cui lo stato si contrappone spesso alla famiglia.
S. : l'ho trovato didattico, con poche emozioni. Mi
ricorda la letteratura sud americana, che però nel narrare le vicissitudini delle donne è
più coinvolgentee. Le condizioni in cui le donne versavano si conoscono da tempo: non c'è niente di nuovo e per questo a volte è un po' monotono.
P. B.: Anilda Ibrahimi non indugia mai nella descrizione
delle passioni forti, rimane distaccata. Non mi è dispiaciuto, ho imparato
qualcosa di più sull'Albania.
M.T.: mi aspettavo una storia nella storia. Non so molto
più di quel che sapevo prima: si capisce che è un'opera prima. Ha raccontato la storia di personaggi della sua infanzia. L'ho trovata abbastanza episodica.
E' una storia un po' "slegata".
M. R.: la passione di Omer era sbocciata con Sultana, non con Saba. Meliha, la
nonna ha un carattere impagabile: nel risolvere il
problema creato dal marito, è stata di una bravura e di una capacità incredibili.
E. N.: non l'ho trovato molto avvincente. La scrittura è
piuttosto fredda e non particolarmente descrittiva. Non sono mai espressi giudizi: questi sono i fatti punto. Manca di verve. Per quel poco
che conosco gli albanesi mi danno sempre l'impressione di avere un carattere
duro.
G.M.: la scrittrice tende ad avere una scrittura veloce, come se fossero i
fatti che devono scorrere a tutti i costi.
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