"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

giovedì 19 novembre 2020

Stabat mater di Tiziano Scarpa

Trama (da IBS): Premio Strega 2009. È notte, l'orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine più assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona più intima e più lontana, la madre che l'ha abbandonata. La musica per lei è un'abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Dall'alto del poggiolo sospeso in cui si trova relegata a suonare, pensa "Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, che si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci". Così passa la vita all'Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell'arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli. Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre più incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione. 

Il confronto (da remoto 19.11.20 ore 20.30) :  

Patrizia: Mi sono arenata sulle prime pagine perché, in questo momento, il tono del libro non mi si confà. Riconosco però che lo scrittore è molto bravo a descrivere con le parole le sensazioni. Mi è sembrato comunque un po' cupo.

Maura: mi è piaciuto molto. La storia è semplice e permeata di solitudine. Per difendersi dalla paura della morte la protagonista Cecilia si immagina inventandosela la figura della madre, che finisce lei stessa col temere ed esorcizzare.

Cristina: scrive molto bene. Il romanzo è un distillato di musica, poesia e arte figurativa: Le immagini sono molto forti. Vivaldi nella vicenda è uno spettatore, chi agisce è Cecilia. Il prete Antonio fa vivere a Cecilia un evento traumatico, un assaggio della crudezza della vita, che torna utile alla musica stessa. Infatti da quel momento la musica che Cecilia eseguiva come un artificio privo di contenuti si carica di un diverso significato, che l’innalza al sublime. Le orfane, mentre nascoste alla vista eseguono in pubblico la loro musica vivono e si animano nella fantasia di chi le ascolta che le immagina belle, perché bella è l’anima che trapela. All'inizio la musica è la compagna di Cecilia ma successivamente essa viene scalzata dalla morte.

Gianfranca: mi è piaciuto tantissimo. L' orfanotrofio ha sempre esercitato su di me un certo fascino. Entrare nella testa di una bambina abbandonata, il rapporto- non-rapporto con la madre inesistente, il modo con cui le orfanelle vengono trattate e le loro relazioni con le suore mi hanno molto coinvolta. Ho appreso tramite questo libro qualcosa sulla vita di Vivaldi della quale sapevo poco. Chiusa in convento, nella sua solitudine, Cecilia accarezza la voglia di morire, poi trova una sorta di riscatto che la conduce su una nave in fuga. Nel libro la perdita dell'innocenza è simbolica, il rapporto sessuale non avviene realmente.

 Emanuela: ho preferito questo libro a “Il brevetto del geco”. All'inizio l'ho trovato angosciante ma, pur essendo molto triste, mi è piaciuto ed ho trovato parecchi spunti, che mi sono annotata. Il potere della musica, l'ambiente notturno, la ragazzina che nel buio impara le parole, sono alcune delle numerose immagini che emergono durante la lettura. In particolare ricordo quando Cecilia insegna a suonare il violino alle sue compagne e le fa gridare come se fossero uccelli. Cecilia compiva, con un moto di ribellione per non essere scelta, degli errori nell’esecuzione con il violino. Rimanere in convento potrebbe essere il suo destino ma lei stessa nonostante tutto non lo vuole accettare. Sentiva anche che la scelta di dedicarsi solo alla musica l'avrebbe portata ad annullarsi come persona. Infatti la dicotomia morte e musica costituiscono in realtà due facce della stessa medaglia. Nei libri di Scarpa c'è sempre una grande ricchezza di contenuti.

 Ornella: anch'io ho preferito “Stabat Mater” a “Il brevetto del geco”. Il romanzo e ambientato in un posto inusuale, l’orfanotrofio, e il tema dell’abbandono è triste. La musica è l'unico elemento che può sollevare gli animi. Mi ha colpita lo sconvolgimento che le orfane, abituate all’isolamento, subivano quando entravano in contatto con le ragazze del mondo esterno.

 Marco: anch’io sono stato colpito dal senso di claustrofobia che si percepisce nella descrizione della vita in orfanotrofio e dal fatto che in esso le orfane sono delle recluse. La loro esistenza trascorre nello studio del canto e della musica, nelle esercitazioni per prepararsi alle esibizioni con il pubblico. In queste occasioni, grazie alla loro voce meravigliosa che nasce da una profonda solitudine, pur essendo nascoste alla vista, esse esistono nel mondo. Il romanzo traccia l’itinerario di Cecilia nella crescita e nella conquista d libertà. Cecilia pensa continuamente ad una madre immaginaria ed alla fine immagina di partire. Il romanzo è storico, l'ambientazione è vera e vero il potere esercitato su di lei da Vivaldi. Sullo sfondo c'è la città di Venezia, come nel libro “Il brevetto del geco”, che anch’io ho preferito. Infatti ritengo che “Stabat mater” sia più “concentrato”, con poco intreccio, e molto imperniato sul personaggio e la sua lotta alla ricerca dell’identità.Quella di Cecilia in orfanotrofio è una vita di passaggio e il prete Vivaldi, in modo figurativo o reale, costituisce e rappresenta simbolicamente il momento di transizione dall’ infanzia all'adolescenza.Gli orfani, coloro che sono vittime di un abbandono, non riescono a capirne la ragione e la ricercano per tutta la vita, tentando di comporre qualcosa che è stato strappato. Nel romanzo questo smarrimento è rappresentato dal disegno della rosa dei venti, presente sul foglietto che Cecilia ha scoperto di avere addosso quando è stata abbandonata, che, in quanto possibile messaggio della madre, era diventato per lei un’ossessione, fino al momento in cui, per liberarsene, decide di gettarlo dalla nave. Le ragazze nel convento trascorrono una vita ripetitiva ma garantita, che in qualche modo compensa l’insicurezza conseguente al sapere di essere state abbandonate.

Marta: il romanzo è permeato da un senso di angoscia.  Nella descrizione dell’incontro delle orfane con le ragazze ricche venute in convento per le lezioni di musica emerge una forte contrapposizione tra i due mondi che colpisce. Ho interpretato, forse sbagliando, che il prete Vivaldi abbia abusato di Cecilia, anche in considerazione del particolare rapporto fra i due.