"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

martedì 11 dicembre 2012

Fight Club di Chuck Palahniuk



Trama (da IBS): Tyler Durden è un giovane che si trascina in una vita di bugie e fallimenti, disilluso dalla cultura vacua e consumistica che impera nel mondo occidentale. Sua unica valvola di sfogo sono gli incontri clandestini di boxe nei sotterranei dei bar. Tyler crede di aver trovato una strada per riscattare il vuoto della propria vita, ma nel suo mondo non c'è posto per alcuna regola, freno, o limite. 



Citazioni: 
"Quella che vedi al fight club è una generazione di uomini cresciuti da donne."
" Solo distruggendo me stesso posso scoprire il più elevato potere del mio spirito."
" La pubblicità ha spinto questa gente ad affannarsi per automobili e vestiti di cui non hanno bisogno. Intere generazioni hanno svolto lavori che detestavano solo per comperare cose di cui non hanno veramente bisogno".

Il confronto

M.: Il protagonista interpreta il disagio dei giovani in una società improntata sul consumismo e sul raggiungimento di una buona posizione economica, piuttosto che su sentimenti solidali verso il prossimo. Sulla sua vita grava la noia, la ristrettezza delle regole dettate dalla comunità, l’impossibilità di evasione dalla tensione accumulata durante la giornata. Questa situazione gli determina una forte sofferenza d’insonnia e un disagio esistenziale che trova un'apparente calma solo frequentando gruppi d'ascolto per persone affette da mali incurabili. Durante questi incontri serali conosce Maria, che gli fa vivere un nuovo tipo di turbamento: l’amore.
Nei suoi lunghi vagabondaggi notturni incontrerà un amico speciale “Tyler Durden” che lo accompagnerà per tutta la vita. Insieme decidono di aprire un FightClub (palestra di pugilato clandestina) per sfogare la loro rabbia repressa e quella di tutte le persone che si sentono come loro. La violenza gratuita fa da canale liberatorio prima personale e poi sociale:diviene, infatti, un mezzo per rompere le regole di quella società svuotata di principi e spietata con i deboli.


P.: E’ un libro molto originale e ben scritto. Vuole rappresentare la generazione X degli anni 60 che è quella a cui io appartengo. È difficile identificarsi nei temi e nelle problematiche esistenziali proposte: dal nichilismo, alla mancanza di punti di riferimento, alla critica della società.

Avendo visto precedentemente il film mi è mancato il piacere della suspense e della sorpresa finale.
Vi sono molte possibilità di riflessione a partire dall’idea di religione, a Dio, all’assenza di valori in cui credere, al morire per risorgere fino all’autodistruzione finale.


G.: E’ un libro che ho letto con fatica e che non ho compreso totalmente.

A.: Per me la generazione X siamo noi giovani, in quanto vengono rappresentati molti disagi che viviamo quotidianamente. Lo scrittore non è originale nella scelta dell’argomento come si può notare negli altri suoi libri: ad esempio Meno di Zero è un libro per adolescenti che si vogliono ribellare a tutto.
Fight club, secondo me, è stato sopravvalutato. È un libro estremamente maschilista, non portatore di significati costruttivi.

A.: Voglio proporre una riflessione: c’è bisogno di  arrivare alla totale disperazione, di toccare il fondo, di esprimere rabbia e violenza per cambiare un mondo pieno di bugie e fallimenti?  Soltanto dopo il disastro si può risorgere? Non è possibile attivarsi positivamente per costruire qualcosa di buone e concreto?

Ho fatto fatica a leggere questo libro: dalla scena di apertura (raffigurante il protagonista con la pistola in bocca) ho capito che non era il mio genere.
C.: Nel libro ci sono molti spunti interessanti su cui riflettere. Non condivido il nichilismo del protagonista e il tentativo di volersi purificare con la violenza. Nel testo sono presenti molti elementi simbolici: ad esempio quando il protagonista ha picchiato il ragazzo dal bel viso ha manifestato la sua rabbia contro un mondo costruito su cose futili, sull’esteriorità e sul consumismo. Sembra che il dolore sia l’unica cosa autentica e pura.

Noi tutti siamo imprigionati in professioni in cui non ci riconosciamo, ma che esercitiamo per il guadagno che ci consente di essere compratori. Il protagonista prima di morire avrebbe voluto abbandonare il lavoro, distruggendo la società impostata sui falsi valori del denaro e del possesso, ritornando agli elementi essenziali del vivere.
Il libro può essere suddiviso in tre parti:
·      Parte iniziale: fondazione di Fight Club.
·      Parte centrale: organizzazione di attività violente e di incendi.
·      Parte finale:progressiva presa di coscienza di essere sdoppiato e la rivalutazione del sentimento e della donna.
La necessità delle Scimmie spaziali di  sentirsi appartenenti a un gruppo richiama le tematiche presenti in Semina il vento,in cui è molto forte il desiderio di ritrovare le proprie origini e di avere dei punti di riferimento stabili. In particolare  Shirin accetta la religione  mussulmana e le sue regole in quanto unico codice e linguaggio comune del gruppo degli immigrati di seconda generazione.


E.: È un libro molto particolare, ricco di significati simbolici. Mi è piaciuto il finale, in cui il protagonista e Tyler vengono identificati in una sola persona. È costante la presenza del dolore e del desiderio di autodistruzione. Forse la duplicità del protagonista manifesta un desiderio nascosto di ritrovarsi, dandosi un’identità nuova.
 

martedì 6 novembre 2012

Semina il vento di Alessandro Perisinotto

Semina il vento Trama(da IBS): Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza di un carcere del Nord Italia. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo senza vita di sua moglie. Su consiglio del proprio avvocato, Giacomo decide di raccontare la propria vicenda, l'inevitabile serie di eventi che lo ha condotto in quella cella. E così torna all'epoca in cui, per riuscire a sopravvivere a Parigi, alternava il lavoro di curatore di mostre per bambini, a quello di cameriere. Era in quel periodo che aveva conosciuto Shirin. Non l'aveva trovata subito bella, almeno non nel senso consueto del termine; era stato attratto piuttosto dalla storia che i suoi occhi sembravano celare, da quel profondo distacco verso chi le stava accanto, come se per lei la vita vera fosse altrove. Ci sono amori che iniziano all'improvviso, con notti memorabili, il loro invece era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare. L'innamoramento, il matrimonio e poi la decisione che avrebbe cambiato le loro vite per sempre: lasciare Parigi per trasferirsi a Molini, sulle montagne piemontesi, nel paese dove lui era nato. Ma nessun luogo è al riparo dal vento dell'odio, dal fanatismo delle religioni, dall'arroganza del potere, dall'intolleranza strisciante. Così il paradiso aveva cominciato a scivolare verso l'inferno, prima piano, poi sempre più rapidamente, fino ad arrestarsi lì, in quella cella, con il tormento del ricordo d'un amore reso perfetto dalla morte.



Il confronto



M: E’ una storia molto amara, il nucleo centrale del libro non è il progressivo declino della storia d’amore, ma il tarlo dell’intolleranza che si insinua tra i due amanti.
C.: La coppia protagonista, Shirin e Giacomo, è unita da un sentimento fragile e ricerca un’identità nel mondo esterno. L’assenza di dialogo tra i due protagonisti causa conflitti e incapacità di empatizzare con l’altro.
P.: L’espediente narrativo delle foto mi fa rievocare l’arte cinematografica anche se il risultato è un po’ più pesante. Mi è piaciuta molto la descrizione della felicità assoluta dell’innamoramento, al confronto con la quale tutto scade nell’ordinaria felicità. Shirin ha una psicologia labile, fragile, è sempre alla ricerca di radici, di una vita semplice in cui identificarsi. Nel  finale  banalmente colpevolizza la religione e i pregiudizi come causa della propria infelicità, affermando che ”l’ateismo è la sola religione di pace.”
R.: Il messaggio del libro è che l’intolleranza può portare alcune persone a gesti estremi. I due protagonisti non mi sono piaciuti molto: Giacomo è in difficoltà a gestire una donna come Shirin, piena di se stessa ma colta e intelligente. Giacomo è un personaggi deludente, in quanto non difende la moglie contro tutti, ma cade nel pregiudizio.
Mi hanno maggiormente tediato la descrizione delle fotografie e la parte centrale del libro, mentre nel finale la vicenda sembra prendere vita. Nel complesso è una deliziosa storia amorosa.

L.: I personaggi mi sono piaciuti. All’inizio Giacomo appare come un ragazzo timido e imbranato, ancora inesperto delle gioie d’amore. Shirin, invece, seguiva il proprio compagno  restando nell’ombra, sentendosi estranea al club di artisti e geni incompresi dal mondo.
Giacomo ritorna al paese, a Molini, per vivere le antiche tradizioni, per trovare qualcosa in cui credere e identificarsi. L’intolleranza, però, non tarda a insinuarsi nella vita del tranquillo paesino di montagna, come descrive splendidamente l’autore: «Ma il seme dell’odio germoglia nei posti più insospettabili, all’ombra di quello che pare buon senso e invece è solo grettezza e stupidità».Perissinotto mostra come alcune situazioni nascono in sordina ma portano a conseguenze disastrose. Il protagonista si sente in colpa per non aver capito la situazione e il disagio della moglie.

E.:  Il libro mi è piaciuto molto, stupendomi continuamente. Sembra che l’autore voglia ingannare il lettore, facendogli credere che Giacomo sia il vero assassino.
Una figura interessante è quella della madre di Shirin, che fino all’ultimo insinua nel protagonista il dubbio di non aver difeso a sufficienza la moglie, ripetendo queste spietate parole: “Ma tu sei sicuro di aver fatto tutto per lei?”. Il finale del libro mi ha fatto comprendere le difficoltà di difendersi  quando  le  tue idee sono diverse da quelle degli altri.

M.: E’ un libro che spazia all’interno dei sentimenti e delle emozioni, passando dalla rappresentazione dell’amore a quella dell’odio. L’amore fa superare ogni diversità, permettendo di avvicinare persone con culture, origini e religioni diverse. L’odio, invece, accentua le differenze, non permette l’integrazione e rifiutando ciò che non è allineato. La storia d’amore di Shirin e Giacomo è una combinazione meravigliosa di culture, religioni e paesi diversi.
Molini, un piccolo paese di montagna, dà la possibilità ai due giovani protagonisti di ricostruire un passato comune, identificandosi nella cultura e nelle tradizioni locali: Shirin si integra nel gruppo di canto del paese e Giacomo insegna  nella scuola elementare. Qui vivranno il periodo più bello e fecondo della loro vita che culmina nell’unione in matrimonio. Proprio in questa realtà, inizialmente ospitale, conosceranno l’insofferenza e il pregiudizio verso gli stranieri e verso l’impostazione aperta dell’ insegnamento di Giacomo. Questo seme dell’odio porterà Shirin ad avvicinarsi alla cultura islamica che finora non aveva condiviso, staccandosi da Giacomo, ormai incapace di comprenderla.  Il suo avvicinamento al gruppo di giovani islamici le è costato la vita. Nel finale Shirin appare come una persona completamente diversa: non è più una giovane ragazza che non si fa problemi a mostrare la nudità del proprio corpo in spiagge di nudisti, ma diviene vittima dell’intolleranza. Emerge un netto contrasto con la frase pronunciata da Shirin a  Parigi all’inizio del libro: “i musulmani hanno in testa solo il Corano. Vacche, capre e donne per loro è tutto uguale”.“L’unica legge che servirebbe sarebbe quella di vietare di professare qualsiasi religione come ai tempi della rivoluzione”
La vicenda fa comprendere che la fedeltà alle proprie origini non deve mai essere a scapito del mondo e all’autentico incontro con gli altri.

MP. Mi è piaciuta molto la struttura narrativa, in particolare l’alternanza iniziale dei punti di vista tra l’avvocato difensore e il recluso nel carcere, Giacomo Musso. La storia del protagonista, incolpato ingiustamente della morte della moglie, può testimoniare il cattivo funzionamento della giustizia che spesso colpevolizza innocenti. Progressivamente si scopre che Giacomo non è semplicemente accusato di reato passionale, ma anche di essere complice dell’attentato terroristico di Shirin.
La scrittura assume un ruolo fondamentale quale mezzo di espiazione, di scavo interiore e di approfondimento, divenendo l’unica ragione di vita per Giacomo.
Interessante è la considerazione del paese che richiama quella presente in molti libri di Pavese (es. Paesi tuoi, La casa in collina). Emerge il tema delle radici, della necessità di un paese e di una terra d’origine in cui riconoscersi. La duplicità pavesiana di Torino e le Langhe sembra proiettarsi nell’opposizione tra Parigi e Molini. Nel finale emerge, però, l’impossibilità di integrarsi, con il risultato di un forte senso di estraneità, di amarezza e di impossibilità di ritrovare la propria strada.
Un tema caldo, che attraversa tutto il libro, è quello dell’integralismo islamico. Shirin è una donna debole e fragile, cerca forza in altri: prima negli uomini, poi a Molini e nei canti popolari e infine nell’islam.
È alla ricerca di un’origine mancata. I suoi genitori sono islamici e parigini, con mentalità aperta e cosmopolita. È molto interessante la trasformazione della donna: prima ostenta la nudità del corpo e poi si nasconde sotto un burqa. La sua conversione all’islam risulta essere una scelta dettata dall’odio, non da una profonda e sincera conversione.

martedì 11 settembre 2012

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di J. Jonasson

Trama: Allan Karlsson compie cento anni e per l'occasione la casa di riposo dove vive intende festeggiare la ricorrenza in pompa magna, con tutte le autorità. Allan, però, è di un'altra idea. Così decide, di punto in bianco, di darsela a gambe. Con le pantofole ai piedi scavalca la finestra e si dirige nell'unico luogo dove la megera direttrice dell'istituto non può riacciuffarlo, alla stazione degli autobus, per allontanarsi anche se non sa bene verso dove. Nell'attesa del primo pullman in partenza, Allan si imbatte in un ceffo strano, giovane, biondo e troppo fiducioso che l'attempato Allan non sia capace di colpi di testa. Non potendo entrare nella piccola cabina della toilet pubblica insieme all'ingombrante valigia cui si accompagna, il giovane chiede ad Allan, con una certa scortesia, di vigilare bene che nessuno se ne appropri mentre disbriga le sue necessità. Mai avrebbe pensato, il biondo, quanto gli sarebbe costata questa fiducia malriposta e quella necessità fisiologica. La corriera per-non-si-sa-dove sta partendo, infatti. Allan non può perderla se vuole seminare la megera che ha già dato l'allarme, e così vi sale, naturalmente portando con sé quella grossa, misteriosa valigia. E non sa ancora che quel biondino scialbo è un feroce criminale pronto a tutto per riprendersi la sua valigia e fare fuori l'arzillo vecchietto. Un centenario capace di incarnare i sogni di ognuno, pronto a tutto per non lasciarsi scappare questo improvviso e pericoloso dono del destino.


Citazione: "Quando pensi di non avere tanto tempo puoi permetterti certe libertà"
Breve relazione di Marco                                     
 Arrivare a cento anni (anche se in segreto) è il desiderio di molti, ma la vita moderna, stressante e piena di affanni, concede questo dono soltanto a pochi eletti. Alan è uno di questi: personaggio singolare e stravagante, che ha vissuto una vita avvincente e unica, ricca di vicende incredibili (sono credibili solo nella realtà del romanzo). Fin da ragazzo è indifferente alle cose circostanti e agli eventi umani che un giorno lo coinvolgeranno nelle mirabolanti avventure della vita.
Noi lo conosciamo a partire dal suo centesimo compleanno, quando progetta una fuga dalla terribile infermiera Alice e dalla prigionia del ricovero, per ritrovare la forza e la vitalità del suo mondo fatto di imprevisti.
L’arzillo vecchietto ha avuto la possibilità di conoscere e di stringere legami con i grandi personaggi che governano il mondo, ritrovandosi immischiato nelle più pericolose avventure, trasformandosi talvolta in un divertente agente segreto. Come spesso accade nei romanzi, riesce sempre a superare mille traversie e a uscire incolume dalle più pericolose situazioni, continuando imperterrito il suo interminabile viaggio.
Per alcuni versi può sembrare un personaggio strano, ma, privandolo di tutte le sue movimentate peripezie,si ridurrebbe a essere un comune abitante di un piccolo paesino della Svezia.
Pur non interessandosi di politica e della guerra che dilaga in molti paesi, diventa inconsapevolmente partecipe degli eventi, dando a ogni cosa una svolta diversa e imprevista.
Non si affeziona alla persone, prova indifferenza per le donne, non ha una casa o parenti che lo costringano a fermarsi in un posto: la sua vita è un viaggio continuo, in cui l’unica assillante preoccupazione è di riuscire a rimediare un lauto pasto accompagnato da un buon vino.
Soltanto nel finale si intravede la nascita di quel sentimento meraviglioso che mai conobbe in cento anni: l’amore. Un lieto fine che si accorda con il romantico finale del film.
Anche se tutti i personaggi sono piacevoli, Alan spicca per il suo modo di fare distaccato, ironico e pieno di vita, accompagnandoci con fantasia nella storia del nostro passato,conferendo al romanzo un andamento piacevole e scorrevole.

 Il confronto
 M: È un libro molto divertente. Il personaggio principale, Allan, è spiritoso e simpatico. All’inizio  ha cento anni, ma nel corso della vicenda sembra non avere età.
I poliziotti sono incompetenti e inefficienti, si affannano, più che alla risoluzione del caso, a salvaguardare la propria immagine pubblica. La vicenda è avventurosa e intrigante.

M: È un libro immemorabile. Mi ha irritato il fatto che abbia avuto grande successo e sia considerato un Best Seller.
Qual è il messaggio che trasmette ai lettori? Bere in gruppo? Allan è simile a Forrest Gump (potrebbe essere anche paperino). Non apprezzo i personaggi che non hanno collegamento con la realtà.

P: Non sono riuscita a finire questo libro perché non ha saputo coinvolgermi.
Non avendolo letto integralmente non posso esprimere un giudizio completo. Il messaggio principale, secondo me, è che nella vita finché puoi saltare da una finestra (che in questo caso rappresenta la prigionia del ricovero, ma che può simboleggiare gli ostacoli che quotidianamente incontriamo), c’è sempre una speranza.
Nella vecchiaia il problema più grande è la salute, senza la qualel’uomo perde la propria autonomia, è costretto a dipendere dagli altri, divenendo un soggetto limitato e limitante. Mi ha fatto riflettere la notizia che un uomo di 101 anni si è suicidato a Milano perché non riusciva a praticare attività sportiva. A differenza di Allan non è riuscito a trovare la forza e la speranza per continuare a vivere.
Mi ha ricordato il libro Una  banda di idioti.

M: La lettura è stata molto faticosa e lenta, perché il libro non è riuscito a coinvolgermi e a emozionarmi.
Mi è piaciuta l’alternanza di capitoli che spaziano dall’immediato presente alla giovinezza di Allan. Più proseguiamo nella vicenda, più il protagonista acquista spessore e profondità, dandoci la possibilità di comprenderela grande carica che continua a possedere anche da vecchio.
Sin dalla giovinezza, infatti,è sprezzante del pericolo, riesce sempre a farla franca e a uscire indenne  da  situazioni  paradossali grazie al suo straordinario ottimismo e alla sua audacia.
Si può intravedere  una  riflessione sulla vita nelle case di riposo, dove spesso gli anziani sono costretti a vivere. Anche quando tutto sembra perduto, quando sembrano non esserci aspettative di un futuro migliore, si possono trovare inattese vie di uscita. Lancia, quindi, un messaggio di speranza a coloro che ne sono privi: anche a cento anni è possibile rifarsi una vita, trovando addirittura l’amore.
Il finale aperto sembra prospettare per questo simpatico vecchio una vita lunga, forse eterna.
Mi ha molto divertitola presentazione di una giustizia incompetente, preoccupata soltanto di salvaguardare la propria immagine. Emerge, quindi, una completa assenza di fiducia nel sistema.

G:Mi ha divertito, anche se non è il genere di lettura che prediligo: si adatta all’estate. Mi hanno fatto molto sorridere le incredibili avventure di Allan. Se ne facessero un film, credo che non lo andrei a vedere.

M: È un libro molto divertente. La parte che ho apprezzato di più è quella iniziale, che sembra essere la più realistica.

E: Secondo me questo libro è abbastanza piatto. Interessante, però, l’alternanza tra presente e passato che permette di comprendere pienamente il protagonista e il suo temperamento. Attraversare i cento anni di vita di Allan, contornati da una vasta rassegna di vicende storiche, miè servito come ripasso del nostro passato. È incredibile pensare che, nonostante l’età avanzata, Allan continui a immaginare un futuro senza limiti.
Non ho trovato questo libro umoristico, né ho provato simpatia per il protagonista.

C: Questo libro non andava preso sul serio. Allan non è un personaggio positivo, non ha interessi politici, non esprime mai il proprio interesse per le cose, resta in superficie senza approfondire nulla. L’unica cosa che gli importa realmente è bere acquavite.  Un valore però lo riconosce e lo rispetta sempre: l’amicizia.


( da  La recensione di IBS)
Le pagine dei romanzi e gli schermi cinematografici sono pieni di arzilli vecchietti birichini e imprevedibili. A volte addirittura veri delinquenti, ma quasi sempre raccontati con una vena d'umorismo che ce li rende inevitabilmente simpatici.

Capelli bianchi, schiena incurvata, artrosi, un inizio di demenza senile... tutti elementi che indurrebbero a pensare a un saggio e sedentario uomo (o donna) d'età, al più portato a ripetere sempre i medesimi racconti della gioventù e predisposto a perdere la via di casa. Già, ma non è tutto oro ciò che candidamente riluce.

E non sono tutti "domabili" i teneri vecchietti.

Ne sa qualcosa Alice Englund, la burbera direttrice della casa di riposo in cui soggiorna Allan Karlsson, centenario d'assalto che il giorno del suo compleanno, a pochi minuti dall'inizio dei festeggiamenti, prende la fuga scavalcando il davanzale della sua finestra e arrivando sino alla fermata degli autobus. E non solo. L'occasione fa l'uomo ladro e Allan, prima di salire sul primo autobus in partenza, riesce anche a portarsi via la valigia di un giovane che l'affida a lui per andare alla toilette, certo dell'onestà di un anziano così anziano... Il giovane non è un samaritano ma un membro dell'organizzazione criminale Never Again ("il Real Madrid del crimine") e il vecchio non è esattamente onesto.

Così, trascinandosi dietro la pesante valigia, Allan - che scopriremo aver avuto una vita avventurosa e piena di attività di successo e incontri importanti alla Forrest Gump - prende al volo il primo autobus, per scendere alla stazione per la quale i pochi soldi che si trova in tasca gli consentono di pagare il biglietto. Lì conosce Julius Jonsson, un settantenne solo e male in arnese, che gli offre un ricovero per la notte. Con lui scoprirà il contenuto della valigia e a casa sua arriverà anche il giovanotto che la rivuole assolutamente indietro.

Ma saranno più pericolosi il giovane delinquente o gli innocenti vecchietti?

Da coppia a scalcagnata combriccola il passo è breve e i nostri anziani si troveranno in compagnia di altri personaggi, altrettanto folli.

Un romanzo molto nordico (in alcuni passaggi ricorda la scrittura di autori come Arto Paasilinna - citato nella storia -, Mikael Niemi o Kari Hotakainen) ricco di umorismo e divertimento.

La vita è un'avventura incredibile, piena di incontri strani, importanti e di fatalità.

Così è e sarà per sempre.

Per tutto il tempo in cui la si vive, anche per cent'anni.

A cura di Wuz.it

martedì 5 giugno 2012

Furore di John Steinbeck


 Trama: Pubblicato nel 1939, Furore è subito divenuto il romanzo simbolo della Grande Depressione americana. Nell’odissea della famiglia Joad, in penosa marcia, come migliaia e migliaia di americani, è ripercorsa la storia delle grandi, disperate migrazioni interne, lungo la Highway 66, verso lo sfruttamento, la miseria, la fame: un quadro potente e amaro di una dura Terra promessa dove la manodopera era sfruttata e mal pagata, dove ciascuno portava con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia".

La citazione: Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque.Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici.Io ho bambini, ho bambini che han fame! Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, io non chiedo altro.E questo, per taluno, è un bene, perché fa calare le paghe rimanendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.


Il confronto

M: Un libro straziante fin dalle pagine di apertura dove viene presentata la miseria dell’Oklahoma, terra significativamente solcata di cicatrici. Tutto ruota intorno al lungo viaggio della famiglia Joad verso la California in cerca di benessere e di serenità. Questo interminabile percorso si rivelerà, però, estremamente angosciante e pieno di difficoltà: la fame, la miseria, l’assenza di soldi e di rifornimenti di benzina, la continua necessità di pezzi di ricambio per il camioncino, sempre malmesso. Ad ogni pagina il lettore si chiede se i miserabili protagonisti riusciranno ad arrivare a destinazione.

La madre è un meraviglioso personaggio, pieno di forza, calma e decisione. Riuscirà a guidare e a sostenere gli uomini che, costretti ad abbandonare la terra, perderanno la propria identità,diventando deboli e insicuri. Come in Canale Mussolin ila figura femminile è di fondamentale importanza.

Non ho percepito il grande furore che preannuncia il titolo del romanzo. Si tratta, infatti, di una famiglia rassegnata e disperata, nessuno prova indignazione e risentimento nemmeno quando Connie abbandona la moglie incinta, Rosa Tea.

La Terra promessa non realizzerà i sogni di questa famiglia, che lentamente si sgretola sotto gli occhi increduli del lettore. Si conservano sempre, però, la bontà, la generosità e l’altruismo, come testimonia l’immagine finale di Rosa Tea che offre il proprio seno a un povero vecchio per sottrarlo da morte certa. Un ultimo gesto tragico, ma madido d’amore.

L: Una lettura piacevole ma angosciante.
La storia è simile a quella della famiglia Peruzzi in Canale Mussolini, costretta a migrare in cerca di condizioni di vita migliori.

La madre è una figura estremamente realistica, un cumolo di forza, di coraggio e di fede nel futuro. Anche Tom, nonostante i quattro anni trascorsi in carcere, conserva la propria bontà e saggezza, rappresentando un vero cardine per la famiglia Joad. Costituisce, infatti, uno degli unici protagonisti maschili positivi e propulsivi.

Fondamentale è anche il predicatore Casy, con il suo difficile rapporto con Dio, che sacrifica la vita per testimoniare le proprie idee e la necessità di una coalizione contro i potenti.

Grande umanità si percepisce nei brevi soggiorni nei campi profughi, soprattutto nella forte unione tra le donne.

Il libro contiene una profonda riflessione sul futuro: soltanto quando l’io diventerà noi si avrà un mondo migliore.

Molti anni ci distanziano dalla Grande Depressione del 1939, ma nonostante ciò molte delle situazioni narrate si conservano anche nei giorni nostri.

M: Pennacchi dichiara di prendere ispirazione per il proprio romanzo da Furore. Entrambi i libri iniziano, infatti, con un viaggio, ma mentre in Canale Mussolini la storia si svolge in un luogo stanziale, in Furore il vero protagonista è il lungo itinerario verso la salvezza.

Molto interessante è la struttura del libro, che alterna capitoli descrittivi, in cui il lettore è immesso nel vivo della realtà storica del tempo, a capitoli narrativi, che determinano il proseguo della vicenda.

Terribilmente angoscianti sono gli incontri dei californiani con i nuovi arrivati, chiamati dispregiativamente Okies, sui quali riversano tutto il loro odio, i loro timori, il loro desiderio di potere. La situazione narrata è affine ai sentimenti di chiusura e di diffidenza verso le nuove popolazioni immigrate in Italia.

G:Il romanzo rispecchia il nostro atteggiamento verso coloro che arrivano in Italia con i barconi. E’ una guerra fra poveri.

C:Gli Italiani hanno esagerato con il tenore di vita, non riescono a rinunciare a qualcosa, ma sono inglobati nella realtà in cui vivono. È necessaria inoltre una maggiore giustizia sociale. In Italia il costo del lavoro è alto e lavorare è scomodo.

P: Mi è piaciuto molto. Il libro è ricco di riferimenti alla letteratura sudamericana, con un vivo interesse per gli strati sociali più deboli e una denuncia contro gli atteggiamenti utilitaristici ed egoistici dell’uomo.Il tragico atto finale si riconducealle parole della madre: ciò che conta è sopravvivere.

MP: Molto importante è l’evoluzione della figura femminile all’interno del romanzo. Nelle pagine di apertura, infatti, la madre rimane appartata dietro la porta di casa, osservando passivamente le reazioni del marito che apprende la necessità di abbandonare la propria terra per l’imminente arrivo della trattrice. La donna, però, acquista maggiore spessore e forza nel progressivo degenerarsi della situazione. Mentre l’uomo si identifica con il possesso di una terra da coltivare, e senza essa perde la propria ragione d’essere, la donna, ma soprattutto la madre, sa vivere nelle situazioni più difficili e sa rincuorare gli afflitti.

La fame e l’estrema povertà annullano l’importanza degli affetti e degli antichi valori: Connie lascia la moglie incinta con estrema semplicità e disinteresse; i nonni vengono seppelliti con crudezza e senza grande spargimento di lacrime; la famiglia progressivamente si sgretola.

Molto toccante è l’immagine conclusiva di Rosa Tea che offre il proprio seno a un uomo morente, un ultimo tragico gesto, che vuole trasmettere speranza per una rinascita futura.

Tom è un personaggio poliedrico e complesso: è il cardine su cui si regge l’intera famiglia ma è anche colui che ha ucciso, e ha scontato la propria pena in carcere. I suoi gesti sono, però, sempre indotti dalla situazione: la prima volta uccide per autodifesa, per poter sopravvivere, mentre la seconda è una comprensiva reazione all’uccisione dell’amico Casy. I suoi atti sono, quindi, comprensibili all’interno di un complesso di cruda bestialità.

M: Il romanzo contiene storie familiari. La famiglia italiana di quel periodo storico (vedi i Peruzzi di Canale Mussolini) era più numerosa e più unita. In Furore, invece, si assiste alla storia di una famiglia americana che progressivamente perde i propri figli.

E: Dal romanzo emerge un forte senso di umanità, di generosità e di altruismo. Costante è, infatti, l’aiuto delle altre famiglie migranti e la condivisione del poco cibo. È presente, però, anche uno scarso rispetto per la vita, come si può notare nell’atteggiamento di Tom, che non disdegna di uccidere e non si pente dei propri atti.

Entrambi i romanzi (Furore e Canale Mussolini) sono riconducibili ai giorni nostri. In particolare Furore all’attuale situazione degli immigrati.

La madre è una figura centrale, coraggiosa e forte: è colei che dà la giusta spinta alla famiglia, creando nuovi stimoli e motivazioni, talvolta con poco tatto e umanità. Tom è il figlio più affine al questo personaggio, benché in molte situazioni reagisce con violenza (per questo paragonabile allo zio Pericle di Canale Mussolini).

A differenza dei Peruzzi che riescono a mantenersi uniti nelle difficoltà, i Joad non realizzeranno i propri sogni in California e assisteranno al lento sgretolarsi della famiglia, dovuto alla fame e alla perdita della speranza.

Ho intravisto la guerra fra poveri, la difesa del proprio territorio, l’attaccamento al possesso.





martedì 17 aprile 2012

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi

Trama (da IBS):
Premio Strega 2010. Canale Mussolini è l'asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l'acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Tra queste migliaia di coloni ci sono i Peruzzi. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle. Con lui scendono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore. E poi la nonna, dolce ma inflessibile nello stabilire le regole di casa cui i figli obbediscono senza fiatare. Il vanitoso Adelchi, più adatto a comandare che a lavorare, il cocco di mamma. Iseo e Temistocle, Treves e Turati, fratelli legati da un affetto profondo fatto di poche parole e gesti assoluti, promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro o nelle trincee sanguinanti della guerra. E una schiera di sorelle, a volte buone e compassionevoli, a volte perfide e velenose come serpenti. E poi c'è lei, l'Armida, la moglie di Pericle, la più bella, andata in sposa al più valoroso. La più generosa, capace di amare senza riserve e senza paura anche il più tragico degli amori. E Paride, il nipote prediletto, buono e giusto, ma destinato, come l'eroe di cui porta il nome, a essere causa della sfortuna che colpirà i Peruzzi e li travolgerà.

Le interviste all'autore:

Citazioni:
 ”Ognun elgà le so  rason” 
“Sei quasi perennemente condannato a vivere nel torto, pensando peraltro di avere pure ragione”

Il confronto

M: Mi è piaciuto molto questo libro, in cui emergono alcune iniziative positive di un politico (da ricordare, ad esempio, la bonifica dell’Agro Pontino).

La famiglia Peruzzi è piena di autostima, ha un’alta considerazione di sé. Non si schiera nécon il Duce né contro, non sa niente del regime ed è disinteressata alla politica.

Molto divertenti sono i nomi strampalati dei ragazzi, riconducibili ai nomi inusuali, che leggevo sulle tombe quando andavo con mia suocera al camposanto.

Armida, la moglie di Pericle che seduce il nipote per riacquistare l’amore,è un personaggio stravagante, soprattutto per il suo rapporto con le api.

P: Pennacchi mi ha condotta verso i romanzi sudamericani, non molto realistici e con personaggi un poco improbabili, dandomi la possibilità di comprendere meglio il periodo storico.

La narrazione dà l’idea di racconto orale.

MP: Questo romanzo mi ha dato l’opportunità di approfondire la realtà della bonifica Pontina al di là dell’aspetto politico e delle solite noiose descrizioni dei libri di storia. Mussolini non è caratterizzato in modo negativo, ma, successivamente si è lasciato prendere dal potere. Importante è la forte caratterizzazione dei personaggi, alcuni dei quali risuonano di classicità (uno dei personaggi principali è, infatti, il valoroso Pericle).

Il linguaggio è estremamente colorito, popolare e colloquiale con bellissimi inserti dialettali.

F. : una delle donne Peruzzi dice:” anche noi abbiamo fatto la resistenza” questa frase riassume un po’ quello che per quella gente semplice era la politica, era alla sussistenza che pensavano e non gli interessava quel che succedeva intorno a loro.

A.: mi è piaciuta molto l’imparzialità dell’autore. Ha appoggiato il fascismo. Il passato della nostra storia scritto benissimo con uno studio importante. La storia non la fanno i grandi ma le persone comuni. E’ uno spaccato di vita contadina. Pennacchi ha vissuto per scrivere questa storia. Si sente che lo scrittore è tutto in questo libro. E’ molto fedele alla realtà. Tresigallo, paese del padre di Rossoni, era fascista.

E’ molto denso di avvenimenti, troppo impegnativo.

Sarebbe bello che in parte al testamento le persone lasciassero un memoriale.

M.C..: mi ha ricordato “Cent’anni di solitudine” nel realismo magico (epico). Ci sono elementi del socialismo (la terra ai contadini), il fascio-comunista.

L.: mi ricorda la vita di mio padre e i suoi racconti. Ho rivissuto le mie origini e le mie radici (Castel Mella è un paese contadino). Mi è sembrato molto fresco, molto immediato.

M. R:: Il racconto è condotto da una persona appartenente alla famiglia. Ho riscoperto un’antica storia della mia famiglia che non conoscevo: anche i miei parenti in quel periodo sono migrati nell’Agro Pontino a lavorare per i conti Mazzocchi.

G.: condivido, mi son piaciute molto le scene di vita contadina. Mi ha colpito l’aspetto magico di Armida, una donna forte, selvaggia.

martedì 13 marzo 2012

Conversazione con Catherine Dunne

Il Gruppo di lettura
Martedì 13 marzo
alle ore 20,30
ha incontrato, in videoconferenza su Skype,
in diretta da Dublino,
 la scrittrice Catherine Dunne 

[Il testo che segue, cui è premessa la presentazione dell’evento, dovuta a Cristina, trascrive e traduce fedelmente, a parte qualche piccolo ritocco, la videoconversazione del gdl di Castel Mella con la scrittrice irlandese Catherine Dunne, tenuta nella biblioteca comunale nella serata di martedì 13 marzo 2012.
Vi sono compresi tutti gli interventi, e anche qualche frase fuori contesto, a volte un po’ sgrammaticata.
Data l’abbondanza del materiale a disposizione, avrei potuto strutturare il testo come una tipica “intervista all’autore”, con una serie di domande impersonali e di risposte rivedute e corrette.
Ho invece preferito mantenerlo, per quanto mi è stato possibile, in una forma colloquiale o, per dir così,“live”, poiché mi è sembrato che soltanto in questo modo esso riuscisse a catturare per intero l’atmosfera della serata.
Oltre a Catherine Dunne per l’incredibile disponibilità, a Cristina per la perfetta organizzazione, e a tutti gli intervenuti, desidererei ringraziare Rosario e Graziano per l’assistenza tecnica e Isabel per l’inappuntabile traduzione in tempo reale dall’inglese all’italiano.
M.C.]

Presentazione dell’evento
(a cura di Cristina)

Il Gruppo di lettura della biblioteca di Castel Mella è costituito da circa una ventina di persone che hanno in comune un interesse: la lettura, e un bisogno: il confronto. Il momento della lettura resta individuale, intimo e personale; collettivo è invece il momento della condivisione con gli altri di quanto è emerso in ciascuno durante la lettura.
Dal 2008, anno di inizio della nostra attività, abbiamo intrapreso un percorso, di letture e di incontri, vissuti con grande intensità e significato, nel quale il gruppo è cresciuto e maturato. Ma ogniqualvolta che ci è stata data la possibilità di incontrare gli autori delle opere lette, allora, qualsiasi sia stato il gradimento delle stesse, abbiamo avvertito davvero un senso immediato di trasformazione, e siamo usciti dall’incontro molto più ricchi e molto più consapevoli.
Voglio ringraziare subito Michele, che ha speso tempo, impegno ed energie, per offrirci questa occasione, che sappiamo già essere una tappa importante per tutti noi, e Catherine Dunne, per la disponibilità che ci sta dimostrando, che la qualifica prima come persona che come scrittrice.
La scrittrice del resto è talmente conosciuta e riconosciuta che non ha bisogno di presentazioni.
Inoltre so che il gruppo è molto preparato, anche più di me.
Non voglio sprecare tempo, che questa sera è più che mai prezioso. Ma una cosa mi sento di dire.
Nelle nostre letture abbiamo incontrato l’amore passionale e impetuoso, che rompe ogni schema e convenzione, che avverti subito nelle viscere, come quello descritto in “Mio amato Frank” di Nancy Horan o ne “Le braci” di Sandor Marai. Abbiamo incontrato l’amore taciuto, reticente di “Rossovermiglio” di Benedetta Cibrario, che si coglie con l’intelletto e che costituisce prima di tutto un’esperienza della mente.

Di Catherine Dunne hanno detto che arriva immediatamente al cuore delle donne. Condivisibile ma un po’ limitante, come lo sarebbe per noi bibliotecari collocare le sue opere nella narrativa femminile. Esse infatti hanno il pregio, a differenza di alcune autentiche scritture indirizzate alle donne, di raggiungere al cuore anche gli uomini, come abbiamo visto dal loro interesse animoso nel nostro gruppo. E non solo. A volte la sua scrittura provoca dei turbamenti tali che sono le viscere ad avvertirli, talvolta ci tocca al cuore, raggiungendoci nei sentimenti più intimi, ed infine con il suo linguaggio nitido, immediato e universale, la sentiamo puntare diritto alla mente, stimolando pensieri e riflessioni, regalandoci così la sensazione di aver vissuto, non solo vite parallele, ma proprio un po’ di vita in più.
Catherine Dunne, non solo nei romanzi ma anche nei saggi, arriva alla persona, che colloca sempre al centro, tocca ogni sua sfera, e le dona un’esperienza umana completa. A questo, a mio parere, deve la sua meritata fama.
[di Catherine Dunne il gdl di Castel Mella ha letto i romanzi “Se stasera siamo qui” e “La metà di niente”, e i racconti “Cape Town, Johannesburg” (dalla raccolta “Dignità!”) e “Eoin”.]

Trascrizione in italiano
Michele. Catherine?
Catherine Dunne. Ciao! Mi vedi bene?
M. Mi senti?
C.D. Perfettamente.
M. Vedi sullo schermo il gruppo dietro di me?
C.D. Sì!
(applauso)
M. Benvenuta! Buona sera e benvenuta al Gruppo di Lettura della Biblioteca comunale di Castel Mella.
C.D. È un vero piacere essere con voi.
M. Prima di tutto vorrei ringraziarti per avere accettato il nostro invito. Sei stata gentilissima. Ho visto che oggi hai messo sulla tua pagina di Facebook il link al nostro gruppo.
C.D. Sì.
M. Grazie anche per questo. Ne siamo felici e non vediamo l’ora di ascoltare quanto vorrai dirci. Solo, prima di iniziare, vorrei presentarti la bibliotecaria.
(a Cristina) Fa’ un saluto a Catherine!
(Cristina saluta)
C.D. Ciao! Come va?
M. Cristina, senza la quale questa conversazione non sarebbe stata possibile. Poiché ci ha messo a disposizione i locali della biblioteca, dove siamo in questo momento. A quest’ora della sera. Per questo dobbiamo essere tutti riconoscenti a Cristina.
C.D. Ottimo lavoro, Cristina!
M. Poi vorrei presentarti Isabel, che è…
I. Ciao, Caterina!
C.D. Ciao!
I. È un piacere incontrarti.
C.D. Anche per me. Come va?
I. Benissimo, grazie. E tu?
C.D. Bene. E tu?
I. Benissimo.
M. Come avrai capito, Isabel è una madrelingua, ed è scozzese, non inglese. Le abbiamo chiesto di aiutarci per la traduzione. Io proverò a porti le domande, e lei poi “impersonerà” la tua voce…
(C.D. sorride divertita)
M. Insomma, Isabel tradurrà in italiano le tue risposte.
C.D. Benissimo.
M. Se mi dài ancora qualche minuto, vorrei introdurre in italiano ai presenti la conversazione. Poi potremo partire. Solo qualche minuto, per favore.
(M. si rivolge ai presenti)
Allora signori, vi presento… Stasera, ragazzi, abbiamo il piacere di avere una scrittrice importante, che è Catherine Dunne, di cui noi abbiamo letto chi due, chi tre, chi quattro testi: Dirò brevissimamente come l’ho conosciuta, a chi non lo sa. L’occasione è stata perché quest’estate io sono stato a Dublino al gruppo degli scrittori irlandesi con un gruppo di amici, quasi tutti scrittori, giornalisti o anche attori. L’ho conosciuta… non vorrei parlare adesso delle sue opere perché tutti le abbiamo conosciute, tutti ce ne siamo fatti un’idea, in realtà. Voglio solo dirvi che (cosa mai vista in altri scrittori) unisce una grande professionalità con una grande simpatia umana. È una persona gentile, gradevole, e anche una brava scrittrice, cosa che non succede normalmente negli scrittori, italiani o stranieri, che io sappia. Italiani non ne ho mai conosciuti così disponibili. Almeno di quelli famosi. Volevo solo finire questa cosa, dicendovi come sarà organizzata la serata. Mi sono messo d’accordo con Catherine per decidere, quindi praticamente è stata lei che ha dettato la scaletta. Una prima cosa sarà l’introduzione, che sto facendo adesso.
Poi io le chiederò di scegliere un argomento a sua scelta nelle domande che le abbiamo mandato, in modo tale che lei possa, con una lunga risposta, prendere insieme quattro o cinque domande. Lei mi ha detto che preferisce far così.
Poi come terzo punto ci sarò io che le farò una domanda a mia scelta.
E poi si spera che le facciate voi. In italiano, in quel caso tradurrò io la domanda, e lei la risposta. Sennò in inglese. Speriamo che abbiate il coraggio, perché sennò facciamo… Quante persone siamo? Diciassette? Diciotto?
Adesso cominciamo. Comincio a chiederle un commento generale…
Cristina. Il ruolo di Isabel sarà quello…
M. Sì, scusa Isabel, sono un po’ nervoso, hai ragione. Il ruolo di Isabel è, come ho detto io, di impersonare Catherine, nel senso di essere la voce di Catherine, di tradurre quello che lei dice. Ok. Quindi possiamo iniziare. Siamo a posto?
(si rivolge a C.D.)
Fra l’altro, Catherine, questa conversazione viene registrata, e useremo la registrazione forse per un articolo o una pubblicazione, ancora non sappiamo bene… se ci darai il permesso…
C.D. Certo. Nessun problema.
M. Bene. Vorrei dunque iniziare non con una domanda ma, come dire, chiedendoti di soffermarti su uno, e o tre… su qualunque degli argomenti contenuti nella lista di domande che ti abbiamo inviato. In modo che tu ci possa parlare liberamente, prendendo spunto da ciò che preferisci. Solo, per favore, di tanto in tanto fa’ una pausa, in modo da dare il tempo a Isabel di tradurre in italiano ciò che dici in inglese. Grazie.
C.D. (sorride) Però, Michele, dovresti avvertirmi quando devo smettere di parlare…
M. Certo, lo farò.
C.D. Ciò che ho fatto è stato scegliere quattro domande fra quelle contenute nella lista che mi avete inviato. questo perché credo che tocchino argomenti che, di solito, i lettori chiedono più spesso a uno scrittore. E anche perché queste quattro domande riguardano tutte il tema generale del processo creativo della scrittura, inteso come creazione dei personaggi e costruzione dell’intera struttura narrativa dei testi.
La prima domanda è stata posta da Marco, Maddalena e Gabriella, che mi hanno chiesto quali sono le fonti di ispirazione di cui mi servo quando scrivo un romanzo. E, in particolare, se utilizzo esperienze reali, cioè autobiografiche, o se uso solamente l’immaginazione. È in effetti una domanda complicata, le risposte possono essere tante. Noto prima di tutto che, in genere, i lettori sono sempre interessanti all’autobiografia dello scrittore. Credo comunque di poter rispondere in due modi, dicendo che per me, e credo per la maggioranza degli scrittori, ogni scrittura è autobiografica e nessuna scrittura lo è. Perché se da un lato è vero che ogni scrittore ha dovuto scrivere sulla base delle proprie esperienze autobiografiche, ciò non implica necessariamente che uno scrittore abbia bisogno di aver vissuto gli eventi descritti in un romanzo. Ciò che è necessario è che lo scrittore abbia empatia con i propri personaggi.
Questa risposta mi porta senza sforzo a rispondere a un’altra domanda, quella posta da Michele, Chiara e Gabriella. È la domanda sui personaggi maschili di “Se stasera siamo qui”. Perché, mi è stato chiesto, gli uomini in questo romanzo sono così orribili, e anche così noiosi? La risposta ha ancora a che fare con l’empatia. Questo libro è stato scritto secondo il punto di vista di alcune ragazze di 18 o 19 anni di età. Per le ragazze di quella generazione, a quell’età, l’intero universo ruotava attorno all’idea dell’amore romantico, e per questo motivo gli uomini che rappresentano questo concetto non possono che essere, a seconda dei casi, o meravigliosi o tragici. O bianco o nero. Da giovani, quando il nostro lato emozionale prevale su tutto il resto, vediamo il mondo in modo estremizzato. È solo quando cresciamo che possiamo vedere le sfumature grigie della vita. Mi viene anche in mente che una delle cose che mi dà maggiore soddisfazione come scrittrice avviene quando un lettore prova antipatia per uno dei miei personaggi, perché a me non importa tanto che ai miei lettori piacciano i miei personaggi quanto che li trovino veri, reali.
Ora vorrei rispondere a un paio di domande di argomento extra-letterario, anche perché, se vorrete, nel corso della conversazione avrete il tempo di farne altre dedicate nello specifico ai romanzi.
La prima domanda, posta da Marco a proposito di “Capetown, Johannesburg” (da “Dignità!”), chiede la ragione per cui io e altri scrittori abbiamo deciso di dare il nostro supporto ai progetti dell’organizzazione internazionale Médecins Sans Frontières (MSF). Vedete, ogni scrittore considera il proprio lavoro in parte distinto dagli altri, cioè individuale e unico. Tuttavia, se io, come scrittrice, ho l’opportunità di usare la mia voce e il mio ruolo per qualcosa che ritengo giusto, sono fiera di poterlo fare. Per questo ho accettato l’invito di andare in Sudafrica e di scrivere di ciò che avrei visto in quel paese. Penso anche che il nostro lavoro di scrittori possa essere utile per l’intero progetto se riesce ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui seri problemi causati al Sudafrica dalla diffusione dell’AIDS e della tubercolosi. Ritengo importantissimo comunicare questo messaggio, anche perché MSF non ha assolutamente censurato ciò che noi scrittori abbiamo detto, siamo stati sempre liberi di osservare, liberi di descrivere.
Infine vorrei rispondere alla domanda di Cristina, la bibliotecaria, che vedo in prima fila. È una domanda interessantissima circa l’aiuto che la scrittura può dare per superare i momenti tragici della vita.
A ciò darei due risposte: per coloro che non sono scrittori professionisti, scrivere privatamente di un trauma subito può servire come una forma di catarsi, per aiutarli a liberarsi e a purificarsi del male subito; ma, per uno scrittore che tratta di questi argomenti, è ancora più importante creare un testo di letteratura, cioè qualcosa che possa essere compreso e che sia tale da toccare le emozioni dei lettori, e tutto ciò con la speranza di aiutarli.
M. Grazie, Catherine, per queste risposte. Anch’io vorrei farti una domanda. Qual è la tua opinione su quelle due strane specie di esseri umani che oggi s’incontrano spesso nella nostra società, i cosiddetti uomini-donna e donne-uomo, cioè gli uomini con atteggiamenti femminili e le donne con atteggiamenti maschili. Ci sono anche in Irlanda?
C.D. Queste due specie sono ovunque. Anch’io le definirei come hai fatto tu. La mia opinione è che siamo tuttora in un momento di transizione. Per secoli i ruoli dei maschi e delle femmine sono stati chiaramente definiti e, normalmente, ciò significava che gli uomini conducevano una vita pubblica e le donne una domestica, con scarsa comunicazione fra le due. Da circa cinquanta-sessanta anni i nostri ruoli non sono più così nettamente separati: le donne, per esempio, sono emerse dalla loro dimensione unicamente domestica per entrare nella vita pubblica ma, sfortunatamente, quando sono entrate nella vita pubblica hanno scoperto che quell’eguaglianza che si sarebbero aspettate di trovare non era lì. Allo stesso modo quegli uomini che desideravano un ruolo diverso da quello tradizionale, che desideravano non essere necessariamente aggressivi, o gli unici che guadagnano, si sono per questo visti considerare e trattare con minore uguaglianza. Anzi, uno delle maggiori questioni che riguarda oggi la gioventù in Irlanda, e che in questi anni è stata oggetto di attenzione e di studio, è proprio la difficoltà che i giovani maschi provano nel definire il loro ruolo. In particolare non riescono più a capire se, all’interno della famiglia, debbano ricoprire il ruolo della figura dominante, del capo, di quello che porta a casa i soldi, particolarmente in questo periodo di disoccupazione galoppante. In definitiva io penso che oggi sia difficilissimo capire quale sia il proprio posto nel mondo, e non ritengo che sia più facile per gli uomini o per le donne; è difficile per tutti.
Penso che questi aspetti vengano fuori dal personaggio di Georgie, una donna che personalmente non amerei troppo, se la incontrassi. Ma il mio lavoro di scrittrice mi porta a comprendere i sentimenti di una donna come lei, e a renderla credibile ai lettori.

Vi faccio un altro esempio: se un giorno decidessi di scrivere un romanzo su un serial killer, cercherei di comprendere ciò che questa persona pensa e ciò che sente, cercherei di capire le sue motivazioni, cercherei di vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Ma il fatto che potrei capire i sentimenti e le motivazioni di una persona così non significa certamente che li approverei, o che mi piacerebbe comportarmi come lei.
Ciò ancora una volta mi ricollega alla domanda iniziale sul rapporto in letteratura fra empatia e autobiografia. In effetti, quando si scrive è molto facile provare empatia per i propri personaggi, e talvolta è bello ricevere da un lettore un complimento come: “Oh! Questo deve proprio essere accaduto a te, perché è così vero!”. Ma effettivamente non mi è mai accaduto; è l’atto di empatia dello scrittore che fa credere al lettore che quel fatto è accaduto veramente. Ciò spiega anche la risposta che posso dare a un’altra delle domande che mi avete inviato, di quale sia, fra le quattro protagoniste di “Se stasera siamo qui”, quella in cui mi identifico. La risposta è: non mi identifico in nessuna, ma faccio parte di ciascuna di esse.
M. Grazie, Catherine. Personalmente avrei ancora migliaia di domande da porti, ma vorrei che anche le persone che sono qui… Ah, vorrei solo aggiungere che, mentre tu parlavi, sono arrivate altre persone. Ora siamo in venti, forse venticinque. Ora vorrei chiedere alla gente che è qui di farti qualche domanda, se lo desiderano…
Marco. Io non so l’inglese, però volevo ringraziarla per avere accettato l’impegno con MSF. Leggere il libro “Dignità!”, che ha scritto insieme agli altri autori, fa sentire i problemi del Sudafrica infinitamente più vivi e reali, e assai più sentiti rispetto al modo in cui sono mostrati dai telegiornali. La vita in quel paese sembra davvero una battaglia. Vorrei soltanto ringraziarla per questo.

C.D. Penso che una delle opportunità più importanti per chi visita un paese sia – rispetto a quello che possiamo capire dalle statistiche e dai numeri – l’impatto che si riceve ascoltando direttamente le storie dalla voce delle singole persone. Penso anzi che uno dei più forti istinti dell’uomo sia la sua tendenza ad ascoltare le storie, poiché ascoltare le storie ci aiuta a dare un senso al caos.

Patrizia. Vorrei fare una domanda sul romanzo “Se stasera siamo qui”. Ho trovato divertente e ironico che, nel finale del libro, nasca una storia d’amore fra Georgie e il figlio di Nora. Ho visto in questo una specie di vendetta sulla povera Nora che, quando lo verrà a sapere, non potrà davvero essere molto felice. Ti chiedo se davvero la tua intenzione sia stata quella di prenderti un po’ gioco di Nora in quel finale. Cioè, magari Nora si sentiva un po’ troppo perfetta in quel momento, e allora…

C.D. Ancora una volta devo rispondere che non c’è mai un’unica ragione per le nostre azioni, anzi ce ne sono molte, alcune delle quali assai complesse. Per esempio Georgie è una donna molto egoista, vuole sempre fare a modo suo. Credo però che si sia innamorata davvero del ragazzo, ma penso anche che, almeno all’inizio, la loro relazione fosse per lei ancora più piccante proprio perché il ragazzo era il figlio di Nora. E poi, effettivamente, negli ultimi anni i casi di donne mature che si mettono insieme a uomini molto più giovani stanno diventando un fenomeno sociale…

P. Bene!
C.D. Sapete tutti della storia di Demi Moore, l’attrice americana…
P. Però è stata abbandonata adesso…
C.D. Sì, per lei la cosa non ha funzionato, e magari anche per Georgie non funzionerà, ma, fino a quando durerà, si divertirà un sacco.
(risate)
P. Un’altra domanda: hai detto che ti piace descrivere personaggi veri, reali, anche malvagi come, per esempio, un serial killer. Ma, se è così, posso immaginare che ci sia anche della sofferenza quando ti metti nei panni di persone malvagie. Ti rimane davvero addosso qualcosa di loro? Cioè, ti è difficile separare la tua vita di tutti i giorni da quella che vivi mentre stai scrivendo?
C.D. Questa è una domanda molto interessante, davvero acuta. Il mio secondo romanzo, “La moglie che dorme” è stato un libro difficilissimo da scrivere. Ho passato mesi e mesi nella testa di un uomo ammalato, probabilmente vittima di un disturbo mentale. Durante la stesura del romanzo ho dormito malissimo, e ho fatto incubi orrendi. Quando ho terminato, ho capito di aver passato troppo tempo in uno stato emotivo in cui non volevo più stare. Ecco perché, quando ho deciso di scrivere il mio terzo romanzo, “Il viaggio verso casa”, che parla del rapporto fra una madre e una figlia, ho avuto bisogno di dedicare il mio tempo a un tema che fosse salutare, sano e gentile.
Armando. Ciao, Catherine. Parla Armando.
C.D. Ciao, Armando.
A. Avrei un paio di domande, tre se è possibile
C.D. Certo.
A. La prima. In “Se stasera siamo qui” parli dell’Italia, in particolare della Toscana, in un modo molto romantico. Vorremmo sapere la tua vera opinione sull’Italia e gli italiani.
C.D. Prima di tutto devo confessare che non sono mai stata in Toscana, ma nella stesura di quel romanzo è stato molto importante per me scegliere un luogo che, nell’immaginario degli abitanti del nord Europa, fosse considerato romantico e pieno di bellezza. Posto questo, dovevo anche scegliere un luogo che non avessi mai visitato, per non essere influenzata dal mio personale giudizio. Quanto all’Italia, so che è un paese complesso, come del resto lo è l’Irlanda, ma, al di là di questo, so anche che l’unico modo per capire veramente il prossimo è andare oltre agli stereotipi. D’altronde, dovendo parlare in quel libro della Toscana come sfondo per una storia d’amore, ho dovuto rimanere un po’ nello stereotipo. Ho risposto alla tua domanda?
A. Sì, grazie. Ecco la seconda. C’è uno fra i tuoi libri che preferisci rispetto agli altri? E perché?
C.D. Ah, è come chiedere a una madre quale preferisce fra i suoi figli…
A. Ero sicuro della tua risposta…
C.D. Ciò che veramente penso, e che è importante da dire, è che ogni volta che finisco un libro sento che quello è il mio libro migliore, quello cui mi sento più vicina.
A. Così per te il libro il migliore è sempre l’ultimo che hai scritto?
M. O forse quello che scriverai?
C.D. Sì, penso che sia l’ultimo che ho scritto. Anche perché ritengo che una delle cose più importanti per uno scrittore è che l’ultima cosa scritta sia sempre migliore della precedente. Vorrei anche dire che ritengo il romanzo “La moglie che dorme” uno di quelli di cui sono più orgogliosa. Perciò mi è molto dispiaciuto quando ho visto che è stato sottovalutato, che non è stato apprezzato in molti luoghi, forse per la sua appartenenza al genere delle “dark stories”. Per finire, forse molti dei miei lettori vogliono che continui a scrivere e a riscrivere “La metà di niente”.
A. Bene. Ultima domanda. Quando inizio un libro, cerco di immaginare chi ci sia veramente dietro a ciò che leggo. Dunque, puoi spiegarci Catherine Dunne in poche parole?
M. Wow! Che domanda!
C.D. Tu riusciresti a descriverti in poche parole?
A. No, non ci riuscirei.
C.D. Neppure io. Ciò che posso dire è che le mie passioni sono la scrittura e l’amicizia, e che sento moltissimo l’importanza della famiglia.
Elena. Nel suo momento di difficoltà lei ha incontrato i “mangiatori di dolore” e ha spiegato (vedi il racconto “Eoin”) il modo in cui tali personaggi possono alleviare le sofferenze. Le piacerebbe se i suoi libri potessero essere definiti “mangiatori di dolore”? Quali di essi possono essere considerati tali?
C.D. Molti lettori mi dicono che “Il viaggio verso casa” è stato un “mangiatore di dolore” di grande aiuto, nel momento in cui hanno dovuto affrontare la sofferenza per la morte di un genitore. E che anche del mio ultimo libro, “Tutto per amore”, i lettori hanno parlato come di qualcosa che è servito loro per alleviare il dolore conseguente alle decisioni da prendere, o da comprendere, quando qualcuno che avevano molto amato si toglieva la vita.
M.C. Così davvero tu pensi che la scrittura possa avere delle proprietà terapeutiche per la gente?
C.D. Io penso che sia come quando si va a vedere un quadro, e ci si immerga poi nella sua bellezza; allo stesso modo i lettori si immergono nei libri, quando sono belli. Come scrittrice io ritengo che ciò mi dia la possibilità di instaurare una relazione emotiva con il lettore. Perciò penso che sì, è possibile che un lettore possa trovare conforto, o almeno lo spero.
Maddalena. Qual è la tua definizione di amicizia, e in particolare di amicizia femminile? Mi riferisco alle quattro donne di “Se stasera siamo qui”, poiché ho trovato che non sono poi così amiche…
C.D. Sì, ancora una volta se ci riferiamo all’amicizia come qualcosa che sia perfetta condivisione, perfetta comprensione e perfetto amore, allora no, non sono amiche. Ma l’amicizia è molto complicata. Per me una definizione di amicizia è non giudicare mai e essere completamente affidabili. Ma, ovviamente, io scrivo anche di amicizie non del tutto compiute. In altre parole, per un lettore non c’è interesse se nella storia mancano i conflitti. Cioè, Georgie e Nora, per esempio, personalmente non sono amiche, ma le altre ragazze hanno della comprensione per Nora perché non è elegante, non è sexy, non è al mai centro dell’attenzione… inoltre spesso si vede che, quando un gruppo si forma in gioventù, è poi difficilissimo uscire da abitudini e ruoli consolidati.
Cristina. Tutti noi abbiamo letto e apprezzato i romanzi di Catherine Dunne. Io ti chiedo però un consiglio a proposito di altri libri, di altri autori che ami. Per il nostro gruppo di lettura…
C.D. Bene. Attualmente, nell’ultimo anno, non ho letto libri di narrativa, perché non voglio leggere romanzi di altri mentre sto scrivendo il mio, altrimenti si può diventare un po’ schizofrenici, no? Comunque l’ultimo romanzo veramente buono che ho letto è stato quello di Curtis Settenfeld, una scrittrice americana. Il titolo è “An American Wife”, ed è una rappresentazione letteraria della vita di Laura Bush. È un romanzo, dunque è finzione; ma per me è stato affascinante poter confrontare una finzione letteraria con le mie personali opinioni su fatti realmente accaduti. Certo, non è stata una bella esperienza leggere tutte le sere di George Bush, proprio prima di andare a dormire…
Se mi verrà in mente dell’altro invierò i titoli a Michele.
M. È passata un’ora, Catherine, e tu sei stata molto paziente (C.D. ride) e molto gentile con noi. Non abbiamo altre domande, mi sembra… Ah sì, naturalmente. Io so che molto presto verrai in Italia, probabilmente fra un paio di mesi. Non so se è proprio così, ma penso di sì.
C.D. Sì.
M. Sei invitata qui, a Castel Mella, che è vicino a Verona, per esempio. Non so se conosci il lago di Garda…
C.D. Non ci sono mai stata, sono stata una volta al lago di Como… ma mai al lago di Garda.
M. Beh, è un lago bellissimo. Forse meglio del lago di Como.
C.D. Ne sono certa.
M. Anche noi lo siamo. E così possiamo chiudere la nostra conversazione, Cristina. Possiamo, Cristina? Vuoi davvero? Dal momento che non ci sono altre domande, finiamo dunque questa conversazione, e vogliamo tutti ringraziarti per la pazienza e la gentilezza.
C.D. Grazie di cuore. È stato un piacere incontrarvi.
M. Anche per noi. Dunque i migliori saluti da qui, da Castel Mella, Italia. Speriamo di rivederti in questa biblioteca, ma di persona, non su Skype, di persona.
C.D. Va bene. Farò del mio meglio.
M. Bene. A presto. Buona notte. Grazie.
(applauso)
C.D. Grazie per l’organizzazione, Michele. Ci sentiamo presto, va bene?
M. (Non ho capito bene cosa mi ha detto…). Grazie, Catherine.
C.D. Buona Notte. Buona notte, Cristina. Buona notte a tutti. Grazie. Ciao.



Articolo a cura di Maria Paola F.

Breve premessa

Il testo che segue è liberamente tratto dall’intervista a Catherine Dunne, effettuata martedì 13 marzo 2012 presso la biblioteca comunale di Castel Mella, la cui versione integrale è disponibile on-line al sito: http://gruppodiletturacastelmella.blogspot.it/.

Tengo particolarmente a ringraziare l’autore dell’intervista, Michele Curatolo, che mi ha gentilmente concesso di rielaborare il testo e di pubblicarlo sul nostro magazine, al fine di sensibilizzare noi giovani alla conoscenza di quest’autrice.

Soprattutto, però, ritengo doveroso ricordare la gentile bibliotecaria del mio paese, Cristina Dossi, che si è impegnata per rendere possibile questa importante iniziativa, dandoci la possibilità di usufruire della biblioteca edi un collegamentoskype.Cristina ha, inoltre, proposto al nostro gruppo di lettura una serie di libri di Catherine, propedeutici all’incontro. Dal 2008, infatti, nella sede della biblioteca si riuniscono persone appassionate di libri, desiderose di ritagliarsi,all’interno della frenesia quotidiana, un momento dedicato alla letteratura.

Le domande all’autrice irlandese sono il frutto di un intenso e costante lavoro collettivo, di riflessioni e curiosità varie dei singoli membri del gruppo.

Intervistando Catherine Dunne

Dietro un libro, dietro le emozioni e i turbamenti suscitati dalla lettura, si nasconde sempre un creatore, un genio demiurgo che ha accostato così magnificamente le parole da riuscire a penetrare nell’anima dei lettori. Talvolta si costruiscono grandi aspettative su un autore che spesso vengono tristemente disattese da un reale incontro. Alcuni, infatti, soffrono così tanto di superomismo e manie di grandezza da farti provare un’improvvisa voglia di imprimere su quella guancia imbellettata un sonoro schiaffo.

Catherine Dunne, invece, ha conservato un candore e una semplicità difficilmente reperibili in autori di fama internazionale. È singolare che una scrittrice di successo si presti a dedicare una parte del proprio tempo, senza alcun tipo di remunerazione, a rispondere alle domande e alle curiosità di alcuni suoi lettori.L’affabilità, l’umiltà e la disponibilità di quest’irlandese, sempre sorridente e dal viso un poco lentigginoso, sono glielementi che più ho apprezzato e di cui conservo un vivo ricordo.

Durante l’intervista, l’autrice si è soffermata sull’importanza di una profonda conoscenza dei propri personaggi. È fondamentale riuscire ad immedesimarsi in essi, entrare nel vivo dei loro pensieri, senza aver necessariamentevissuto le situazioni narrate:

Credo che per me, e per la maggioranza degli scrittori, ogni scrittura è autobiografica e nessuna scrittura lo è. Perché se da un lato è vero che ogni scrittore ha dovuto scrivere sulla base delle proprie esperienze autobiografiche, ciò non implica necessariamente che uno scrittore abbia bisogno di aver vissuto gli eventi descritti in un romanzo. Ciò che è necessario è che lo scrittore abbia empatia con i propri personaggi.

È determinante, quindi, assumere il punto di vista del personaggio, capire come esso veda il mondo, per renderlo reale e credibile. Questo spiega anche il motivo per cui nel romanzo Se stasera siamoqui il mondo maschile venga rappresentato in modo tanto odioso e insopportabile. La storia è, infatti, narrata da ragazze adolescenti, ancora possedute dal sogno di un amore romantico e passionale, che categorizzano gli uomini in amanti ideali e perfetti o in creature mostruose e abominevoli:

È la domanda sui personaggi maschili di Se stasera siamo qui. Mi è stato chiesto perché gli uomini in questo romanzo sono così orribili e anche così noiosi. La risposta ha ancora a che fare con l’empatia. Questo libro è stato scritto secondo il punto di vista di alcune ragazze di 18 o 19 anni di età. Per le ragazze di quella generazione, l’intero universo ruotava attorno all’idea dell’amore romantico, e per questo motivo gli uomini che rappresentano questo concetto non possono che essere, a seconda dei casi, o meravigliosi o tragici. O bianco o nero. Da giovani, quando il nostro lato emozionale prevale su tutto il resto, vediamo il mondo in modo estremizzato. È solo quando cresciamo che possiamo vedere le sfumature grigie della vita. Mi viene anche in mente che una delle cose che mi dà maggiore soddisfazione come scrittrice avviene quando un lettore prova antipatia per uno dei miei personaggi, perché a me non importa tanto che ai miei lettori piacciano i miei personaggi quanto che li trovino veri, reali.

Quindi, non è necessario che ogni singola esperienza narrata sia realmente accaduta alla scrittrice, ma è basilare empatizzare con i propri personaggi e con le vicende:

Quando si scrive è molto facile provare empatia per i propri personaggi, e talvolta è bello ricevere da un lettore un complimento come: «Oh! Questo deve proprio essere accaduto a te, perché è così vero!». Ma effettivamente non mi è mai accaduto; è l’atto di empatia dello scrittore che fa credere al lettore che quel fatto è accaduto veramente. Ciò spiega anche la risposta che posso dare a un’altra delle domande che mi avete inviato, di quale sia, fra le quattro protagoniste di Se stasera siamo qui, quella in cui mi identifico. La risposta è: non mi identifico in nessuna, ma faccio parte di ciascuna di esse.

Talvolta l’identificazione può essere così forte e inglobante da convogliare sullo scrittore il peso degli stati emotivi suscitati dalle vicende. Catherine, infatti, spiega lo stato di turbamento e di oppressione provato in concomitanza con la stesura del romanzoLa moglie che dorme. Farrell,il protagonista maschile della vicenda, è, infatti, vittima delle proprie ossessioni, degli spettri del passato, di una passione malata e insana. L’autrice non può esimersi dal sentirsi oppressa dalle stesse emozioni di questo artigiano:

Il mio secondo romanzo, La moglie che dorme, è stato un libro difficilissimo da scrivere. Ho passato mesi e mesi nella testa di un uomo ammalato, probabilmente vittima di un disturbo mentale. Durante la stesura del romanzo ho dormito malissimo, e ho fatto incubi orrendi. Quando ho terminato, ho capito di aver passato troppo tempo in uno stato emotivo in cui non volevo più stare. Ecco perché, quando ho deciso di scrivere il mio terzo romanzo, Il viaggio verso casa, che parla del rapporto fra una madre e una figlia, ho avuto bisogno di dedicare il mio tempo a un tema che fosse salutare, sano e gentile.

Oltre ad aver messo in rilievo l’importanza della fase di costruzione del personaggio, la scrittrice irlandese spiega come il conflitto sia alla base di ogni storia. Ricollegandosi a Se stasera siamo qui, mostra come anche dietro a profonde amicizie siano necessari antagonismi, incomprensioni e scontri per dare maggiore interessante alla vicenda:

L’amicizia è molto complicata. Per me una definizione di amicizia è non giudicare mai e essere completamente affidabili. Ma, ovviamente, io scrivo anche di amicizie non del tutto compiute. In altre parole, per un lettore non c’è interesse se nella storia mancano i conflitti. Cioè, Georgie e Nora, per esempio, personalmente non sono amiche, ma le altre ragazze hanno della comprensione per Nora perché non è elegante, non è sexy, non è al mai centro dell’attenzione… Inoltre spesso si vede che, quando un gruppo si forma in gioventù, è poi difficilissimo uscire da abitudini e ruoli consolidati.

In questo romanzo l’autrice dimostra particolare sensibilità verso una delle più belle regioni d’Italia, la Toscana, destinazione ideale per Georgie, solare ma sicura di sé.Seppur ammetta di non essere mai approdata nella terra fiorentina, giustifica la scelta di questo luogo in virtù del sole, del caldo e della bellezza, in opposizione al clima cupo e piovoso dell’Irlanda, da cui gli italiani, invece, sono molto affascinati:

Prima di tutto devo confessare che non sono mai stata in Toscana, ma nella stesura di quel romanzo è stato molto importante per me scegliere un luogo che, nell’immaginario degli abitanti del nord Europa, fosse considerato romantico e pieno di bellezza. Posto questo, dovevo anche scegliere un luogo che non avessi mai visitato, per non essere influenzata dal mio personale giudizio.

I libri di Catherine sono estremamente attenti alle problematiche sociali, a rapporti familiari fallimentari e rovinosi, ad amicizie femminili intricate e complesse, a donne abbondonate che non perdono mai la speranza,che lottano in cerca di un futuro migliore. Spicca dai suoi romanzi una chiara e realistica rappresentazione psicologica, caratteri che possono esercitare una funzione terapeutica anche sui lettori, infondendo in loro forza e speranza. Personalmente ritendo straordinaria la determinazione e il vigore di Rose, protagonista di La metà di niente, che tradita e abbandonata, con tre figli a carico, riesce a ricostruirsi una vita.

Nei suoi libri, quindi, si va oltre al piacere estetico della lettura, ma ogni storia può esercitare una forte azione terapeutica:

Io penso che sia come quando si va a vedere un quadro, e ci si immerga poi nella sua bellezza; allo stesso modo i lettori si immergono nei libri, quando sono belli. Come scrittrice io ritengo che ciò mi dia la possibilità di instaurare una relazione emotiva con il lettore. Perciò penso che è possibile che un lettore possa trovare conforto, o almeno lo spero.

Come spiega nel commuovente racconto Eoin, dedicato alla morte del proprio figlio, l’autrice è riuscita a superare il dolore per lagrave perdita non solo grazieall’influenza benefica del tempo, ma soprattutto in virtù delle illuminanti parole di un tanatologo, John O’Donoghue, che considera come un suo primo importante mangiatore di dolore. Ricollegandosi all’espressione in lingua Urdu ghum-khaur, spiega come mangiatori di doloreindichi la compartecipazione dell’intera comunità per un lutto. La scrittura stessa ha avuto un valore altamente sublimante, e ha permesso all’autrice di reintegrarsi nella vita.

È fondamentale come molti lettori considerino alcuni suoi libri deimangiatori di dolore, elementi di sostegno e di supporto nei momenti difficili dell’esistenza:

Molti lettori mi dicono che Il viaggio verso casa è stato un “mangiatore di dolore” di grande aiuto, nel momento in cui hanno dovuto affrontare la sofferenza per la morte di un genitore. E che anche del mio ultimo libro, Tutto per amore, i lettori hanno parlato come di qualcosa che è servito loro per alleviare il dolore conseguente alle decisioni da prendere, o da comprendere, quando qualcuno che avevano molto amato si toglieva la vita.

La sensibilità e l’apertura verso i problemi sociali di questa scrittrice irlandese si manifesta chiaramente anchenell’adesione a vari progetti dell’organizzazione umanitaria di Medici Senza Frontiere. Nel libro Dignità si susseguono, infatti, le testimonianze e i racconti di viaggio di nove scrittori, che mettono in luce la povertà, la sofferenza, le malattie dei popoli senza voce. Catherine Dunne inCapetown, Johannesburg ha messo in rilievo la forte problematica presente nel Sudafrica dell’alta mortalità dovuta all’AIDS e alla tubercolosi. Per l’autrice è fondamentale sfruttare la propria figura per sensibilizzare i lettori alle gravi situazione del Terzo Mondo:

Vedete, ogni scrittore considera il proprio lavoro in parte distinto dagli altri, cioè individuale e unico. Tuttavia, se io, come scrittrice, ho l’opportunità di usare la mia voce e il mio ruolo per qualcosa che ritengo giusto, sono fiera di poterlo fare. Per questo ho accettato l’invito di andare in Sudafrica e di scrivere di ciò che avrei visto in quel paese. Penso anche che il nostro lavoro di scrittori possa essere utile per l’intero progetto se riesce ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui seri problemi causati al Sudafrica dalla diffusione dell’AIDS e della tubercolosi. Ritengo importantissimo comunicare questo messaggio, anche perché MSF non ha assolutamente censurato ciò che noi scrittori abbiamo detto, siamo stati sempre liberi di osservare, liberi di descrivere.

È molto emozionante avvicinarsi e conoscere chi si nasconde dietro alle nostre letture, per conservare un ricordo, un piccolo frammento della personalità dello scrittore.

Credo, quindi, che per i partecipanti al gruppo di lettura sia stata un’esperienza unica e sicuramente indimenticabile.

Grazie Cristina.
Grazie Michele.