"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

martedì 30 novembre 2010

La banda di brocchi di Jonathan Coe

Trama: Trotter, Harding, Anderton e Chase: sembra il nome di un prestigioso studio legale; in realtà si tratta di un quartetto di giovani amici, che frequenta un liceo elitario di Birmingham, quel tipo di scuola che preleva giovani intelligenti dal loro background ordinario e li fa atterrare in una classe sociale diversa da quella dei loro genitori. I ragazzi sono destinati a carriere importanti, mentre i genitori rimangono impantanati nel loro mondo di matrimoni sciovinisti, scontri sindacali, guerre di classe e di razza e ignoranza culturale. Siamo negli anni Settanta, anni in cui si susseguono sconvolgimenti sociali, lotte politiche, attentati dell'Ira. Su questo mare in tempesta cercano di destreggiarsi, con alterne fortune, i quattro ragazzi.
  
Recensione di Michele su Anobii:
 http://www.anobii.com/01db33a328ee3bbd85/comments?public=0

Leggetelo e saprete finalmente che cosa sono l’estratto di carne Bovril e il cioccolato Dairy Milk. Leggetelo e misurerete una volta per tutte la distanza fra il rock progressivo degli Yes e il punk dei primi Clash. Leggetelo e vi sarà davvero chiara la differenza che a Birmingham passava fra il King William, la scuola migliore della città, e il quartiere-ghetto di Handsworth, dove vivevano (e forse vivono ancora) gli immigrati giamaicani.
Insomma, se lo leggerete, sulle labbra, nelle orecchie, davanti agli occhi e nella testa in poco tempo vi resteranno i sapori, le musiche, le immagini e le idee di un paese che ormai non esiste più se non nel ricordo, di un paese dove governava con pugno di ferro la signora Thatcher, dove Enoch Powell annunciava l'avvento dei "fiumi di sangue", e dove esplodevano le bombe degli indipendentisti irlandesi: in breve, dell’Inghilterra degli anni Settanta.
Tante volte ci sono passati per le mani i cosiddetti “romanzi di formazione”. Tante volte ci siamo immersi nelle storie di ragazzi e di ragazze colti nel problematico tragitto dalla condizione di bambini a quella di giovani. Anche "La banda dei brocchi" di Jonathan Coe rende omaggio a questo modello, e ci narra la storia della maturazione di quattro adolescenti di Birmingham, il protagonista Benjamin Trotter e i suoi compagni Harding, Anderton e Chase, in una rappresentazione corale ove si dipanano anche le vicende parallele dei loro familiari e dei loro amici, lungo un percorso ininterrotto di felicità e di tragedie, di miserie e di amori.
Eppure c’è qualcosa di diverso in questo libro, qualcosa che lo rende più fresco, più leggero e insieme più pregnante rispetto a tanti altri esempi ultimamente pubblicati. Qualcosa che ce lo fa considerare una inaspettata, preziosa sorpresa, e un po’ ci fa rimpiangere il tempo trascorso, inconsapevolmente persi in altre letture, senza averlo potuto conoscere prima. Se, raffreddando l’entusiasmo, tentiamo poi di dare una forma più razionale a ciò che tanto ci è piaciuto dell’arte di Coe, due sono le qualità che in questo romanzo ci balzano agli occhi, due aspetti che, a ben giudicare, sono uniti saldamente, quasi fossero parti indistinguibili nate dall’esercizio di un medesimo talento.
La prima caratteristica non costituisce, a dire il vero, una novità, dal momento che accade spesso di incontrarla in molti testi moderni, libri o film che siano. Si tratta della tipica struttura a incastri giustapposti, ove la materia appare all’inizio franta e dispersa, e viene declinata in molteplici scansioni di generi e di stili, per poi chiarirsi nel finale della storia. Appare evidente che anche "La banda dei brocchi" non si offre alla lettura come un "unicum", ma anzi risulta composto di parti distinte e giocato su approcci linguistici e tematici differenti. Così, accanto alle classiche descrizioni di ambienti e di personaggi si trovano frammenti di diario e stralci di dattiloscritti; ai dialoghi e alle riflessioni d’autore si alternano testi di canzoni alla moda e articoli di giornale; alla narrazione in terza persona, che è la voce predominante della vicenda, si affiancano qua e là “storie nelle storie” in prima persona singolare, come lo splendido racconto che apre la seconda parte del libro e il sorprendente monologo interiore del capitolo finale. Dobbiamo comunque ammettere, dopo la lettura di questo romanzo, che da tempo non gustavamo un’abilità di costruzione tanto funzionale al racconto, e nel contempo così fluida e apparentemente priva di artificio.
Tutto, a differenza di altri testi, ha un senso ne "La banda dei brocchi". Tutto sembra collocarsi con facilità nel posto giusto al momento giusto. È difficile infatti notare una vera e propria stonatura nel romanzo di Coe: potremmo forse segnalare qualche eccesso nella tragicità di alcuni accadimenti, tanto dolorosi da apparire stereotipati, o qualche sporadica ingenuità nella rappresentazione dei sentimenti di alcuni personaggi. Ma si tratta, a nostro giudizio, di peccati veniali, facilmente perdonabili se paragonati all’impressione di credibilità dell’opera, e alla sua capacità di rendere mimeticamente la complessità del reale. Questa intrinseca naturalezza è da attribuire alla seconda caratteristica vincente dell'autore: alla sua scrittura o, per dir meglio, alla pieghevolezza e alla duttilità del suo stile. Sorreggendosi sulla struttura di cui si è già parlato, la sua prosa - coadiuvata, per quello che possiamo intendere, da un’eccellente traduzione - riesce infatti scintillante e a tratti spassosa senza essere dozzinale, precisa nella rievocazione senza essere calligrafica, nostalgica e a volte struggente senza scadere nella melensaggine, netta nei giudizi senza indulgere al moralismo. Da questa capacità di orchestrare, anche con qualche ricercata dissonanza, le molte voci della vicenda derivano, a nostro giudizio, la leggibilità e il fascino insieme sorridente e pensoso del libro.
Proprio all’inizio de "La banda dei brocchi", uno dei personaggi afferma che la storia che si appresta a raccontare (che è poi la storia narrata nel libro stesso) “non ha una vera fine, [anzi] si interrompe e basta”. Sembra quasi una dichiarazione programmatica, in cui l’autore affermi, per interposta persona, la mancanza di senso di ogni umana vicenda, al di là dello scorrere indifferente e meccanico della vita.
Eppure, se ci si chiedesse, come si faceva un tempo, di ravvisare in questo romanzo la morale suggerita dall'autore, noi la indicheremmo nei valori della tolleranza e, se non proprio del perdono, del bisogno di comprensione fra gli esseri umani. È questa, come spesso accade nella letteratura moderna, un’affermazione tutt’altro che netta, anzi un po’ dubbiosa, quasi che Coe la negasse proprio nel momento in cui la fa intravvedere ai lettori.
Tuttavia se ne scorgono qua e là i segni, disseminati soprattutto nella seconda parte del libro, proprio quando Benjamin inizia a riappacificarsi con se stesso e con il mondo: è questo, secondo noi, il senso della storia del suo incontro-scontro, insieme all’amico tedesco, con i fratelli ebrei conosciuti durante la vacanza in Danimarca; è questo il senso del suo rapporto in chiaroscuro con il patriota gallese, zio di Cicely, che gli consente, forse, di rendersi conto delle durezze della dominazione inglese e, retrospettivamente, di farsi una ragione dell’attentato subito dalla sorella Lois da parte dell’IRA; è questo il senso dell’amore sbocciato fra gli stessi Benjamin e Cicely che, a nostro modo di vedere, non simboleggia solo un’esplosione di sensualità, ma segna anche il sorgere di un nuovo equilibrio dopo una lunga vicenda di incomprensioni e di dubbi che non aveva mai permesso loro di incontrarsi veramente.